MESSI? CR7? LEWANDOWSKI? NO, L’ATTACCANTE MIGLIORE D’EUROPA È ADA HEGERBERG! – LA 26ENNE NORVEGESE DEL LIONE, CON CUI HA VINTO 6 SCUDETTI, 5 CHAMPIONS E 5 COPPE DI FRANCIA E UN PALLONE D’ORO, È DIVENTATA UN SIMBOLO IN PATRIA, DOPO AVER RINUNCIATO ALLA NAZIONALE PERCHÉ STANCA DELLA DISPARITÀ DI TRATTAMENTO E RETRIBUZIONE CON I COLLEGHI MASCHI: “È STATO STRAZIANTE, MA ANCHE NECESSARIO: HO PROVATO A..." - VIDEO

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Gaia Piccardi per www.corriere.it

 

Per il calcio femminile Ada Hegerberg da Molde, Norvegia, 26 anni, è un incrocio tra Messi (per tutto ciò che ha vinto), Mbappé (per il talento) e CR7 (per l’influenza sui social), con l’aggiunta di una scelta rivoluzionaria di fronte a cui nessun calciatore maschio si è mai trovato: stanca della disparità di trattamento e retribuzione con i colleghi, nell’estate del 2017 Ada ha deciso di rinunciare alla Nazionale. 

 

E quindi paragonarla agli uomini potrebbe non essere l’incipit più azzeccato di questa interessante chiacchierata su Zoom con la più forte calciatrice d’Europa. «Ma no — sorride da Lione, la corrazzata con cui si sta togliendo ogni sfizio (6 scudetti, 5 Champions, 5 Coppe di Francia) —, va benissimo. Spero solo che la mia storia dimostri che una bambina nata in un minuscolo villaggio del grande Nord può ambire a cambiare, almeno un po’, un sistema sbagliato».

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Un sistema sbagliato e maschiocentrico, soprattutto nel calcio.

«Educazione e rispetto andrebbero insegnati alle elementari: siamo tutti uguali, con gli stessi diritti. Togliere alle ragazze i sogni è grave. Scardinare una mentalità richiede tempo, soprattutto quando nella stanza dei bottoni siedono gli uomini».

 

Eppure lei del suo gioco preferito ha fatto una professione ad alto livello.

«Ho provato con lo sci, l’arrampicata, l’atletica. Ma quando tornavo a casa, con mio padre coach e i miei fratelli si parlava solo di pallone. I miei genitori mi hanno sempre incoraggiata a credere in me stessa, sognare di diventare una giocatrice professionista è stato naturale».

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Di quale delle sue conquiste va più fiera?

«Deve sapere che in Norvegia non siamo autorizzati a sentirci fieri, il basso profilo è uno stile di vita! A parte i successi nel calcio, sono orgogliosa di aver preso decisioni difficili, che non hanno favorito la mia carriera, però restando sempre fedele a me stessa. Con il successo rischi di perderti. E invece io sono sempre la stessa Ada».

 

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Anche gli infortuni possono far deragliare. 21 mesi di stop per la rottura del crociato, il rientro in Champions lo scorso ottobre, il ritorno al gol a novembre contro il Psg. Ha mai temuto di smettere?

«Non ho mai perso la speranza di tornare. Ho mantenuto la mia freddezza norvegese, ho fatto un respiro profondo e mi sono detta: okay, cerchiamo di dare un senso a tutto questo. Per mesi sono entrata in modalità sopravvivenza, poi mi è salita una forza incredibile. Resilienza, la chiamano. A piccoli passi sono tornata al calcio e al gol».

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Fino a superare Anja Mittag nel numero di reti segnate in Europa in carriera: 56, un record.

«Credo che l’esperienza dell’infortunio mi abbia resa più forte, soprattutto di testa, costringendomi a crescere in fretta. Le notti di Champions, specialmente quelle contro le fiere rivali di Psg, Barcellona, Chelsea e Bayern, sono le partite per cui val la pena vivere».

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A marzo, nei quarti, troverete la Juventus, uscita viva dal girone con Wolfsburg e Chelsea (eliminato).

«La Juve è molto cresciuta in Europa, sarà un’avversaria temibilissima».

 

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Con la finale di Champions League a Torino il 22 maggio 2022, i match trasmessi da Dazn (Europa) e La7 (Serie A) e il professionismo promesso dalla Figc alle giocatrici dal campionato 2022-2023, anche in Italia il calcio donne sta provando a fare un salto di qualità decisivo.

«Dare visibilità al nostro sport è la strada giusta. Lo Stadium, a Torino, è un impianto bellissimo, che nobiliterà la finale. Sono i grandi eventi che generano i grandi cambiamenti. Spero di esserci con il Lione, vorrei vedere gli spalti pieni di ragazzine: chiunque giocherà la finale regalerà loro grandi speranze e grandi sogni. È importante che le bambine abbiano modelli di riferimento, e dopo il Mondiale 2019 anche le bambine italiane hanno dei luminosi esempi da seguire».

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L’incidente del Pallone d’Oro 2018, il dj Solveig che premiandola le fa quell’improvvida domanda (sai twerkare?), è superato? Ci siamo evoluti al punto che non succeda più?

«Non credo, costume e società si evolvono lentamente, a piccoli passi. Aspettarsi cambiamenti rivoluzionari è tempo sprecato. Quando ho vinto il primo Pallone d’Oro al femminile avevo solo 23 anni, nel riceverlo mi sentivo addosso una grossa responsabilità. In quell’occasione così solenne per il nostro mondo, se so twerkare non è esattamente la domanda a cui avrei voluto rispondere. Ma con dj Solveig poi ci siamo chiariti. Gli ho spiegato che no, non so twerkare ma nella serata giusta, se sono dell’umore e metti la canzone pop che mi ispira, posso cantare a squarciagola! Ah, e me la cavo anche benino a calcio...».

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Cosa le piace fare quando non gioca e non si allena, Ada?

«Vorrei dirle che coltivo uno strepitoso talento musicale ma no, non lo posseggo. Non avendo finito gli studi, leggo più che posso: Ken Follett, la biografia di Ibrahimovic, i racconti delle grandi avventure al Polo Nord, che mi affascinano. Il calcio inoltre mi ha aperto opportunità straordinarie: lavoro con l’Unesco, sono ambasciatrice della Danone Nations Cup, il più grande torneo internazionale Under 12, seguo progetti che mi tengono occupata. Ogni tanto fa bene uscire dalla bolla del pallone, pensare ad altro. L’estate prossima, con mio marito Thomas vorremmo andare in vacanza in Toscana, nella zona tra Siena e Pienza».

 

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Ottima scelta. Tornerà a giocare nella Nazionale norvegese?

«Non vedo le condizioni. Rinunciare a rappresentare il mio Paese è stato straziante, ma anche necessario: ho provato a cambiare il sistema dall’interno, sono stata criticatissima, ho dovuto uscirne».

 

La prossima conquista?

«Seguo con passione la causa intentata dalle giocatrici americane alla Federcalcio Usa: donne toste di fronte a scelte dure, ne so qualcosa. Vorrei che qualsiasi calciatrice del mondo, dopo aver partorito, potesse tornare a giocare, sicura del posto garantito».

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