Enrico Currò per repubblica.it
Serse Cosmi ha 64 anni e da 32 allena nel calcio, dove ha assaggiato tutte le categorie, dai dilettanti alla serie A, con tanto di incursione in Champions League alla guida dell'Udinese. Ma l'Uomo del fiume, nato e cresciuto vicino al Tevere di cui suo padre era guardiano, si era stancato di navigare: "Avevo esaurito le pile: troppe ingerenze assurde nel calcio italiano".
Poi, a settembre, è arrivata la Croazia, con la panchina del Rjieka. E adesso lui, che ha assistito da spettatori interessato a Dinamo-Milan (incontrerà prima della sosta la squadra di Zagabria nella Super Sport Nhl, la serie A croata), ha ritrovato tutto l'entusiasmo, senza dimenticare però il fresco passato, che ancora lo addolora.
Cosmi, che cos'era successo?
"Era successo che in Italia non si può più stare. Non si può più fare il mestiere di allenatore come si deve. Come si dovrebbe. All'estero sono rinato".
Una folgorazione?
"Il fatto è che qui ho capito di avere perso dieci anni, gli ultimi: tempo sprecato. Qui ho capito subito la differenza".
Qual è la differenza?
"Il rispetto dei ruoli, il rispetto delle persone. Per me è stata una catarsi, la definisco così".
Il Rijeka non è una squadra di alta classifica.
"Ma ha strutture incredibili, una società seria. Vado di nuovo ad allenare felice, con tanta voglia di fare il mio lavoro. Da tanto tempo non mi capitava più. Magari avessi avuto il coraggio di andarmene via prima".
Che cosa la tratteneva in Italia?
"Un preconcetto. L'assurda convinzione che il calcio sia solo in Italia. Ora mi chiedo: ma chi me l'ha fatto fare di sprecare tanto tempo? Ho scoperto un mondo diverso. Parlo in inglese, mi diverto, insegno, trasmetto le mie conoscenze. A parte che i posti, la costa di Opatija dove vivo, sono bellissimi".
La sua è una scoperta tardiva?
"No, lo ripeto: mi è tornato l'entusiasmo, alleno volentieri. Ho il piacere del confronto quotidiano. E guardi che non sono l'unico a pensarla così. Ne ho parlato con altri colleghi e sono d'accordo con me".
Ad esempio?
"Un collega molto famoso. Lo incontrai poco tempo dopo che era tornato in Italia e mi disse: sono passati dieci giorni e mi sono già reso conto di avere fatto una cazzata".
Qual è secondo lei il problema principale del calcio italiano?
"Le troppe cose poco chiare. Le ingerenze. Le commistioni dei ruoli".
E come si risolve?
"Nella maniera più drastica: cambiando gli uomini".
Cambiando i dirigenti?
"Cambiando gli uomini. Adesso la saluto, devo tornare a Rijeka".