"SPALLETTI È STRAFELICE DI ALLENARE IL NAPOLI: È LA FORNACE GIUSTA PER LA SUA TESTA CALDA, IL POSTO GIUSTO PER DELIRARE CALCIO" – DOTTO: "INSIGNE, ZIELINSKI, MERTENS, LOZANO E POLITANO SONO IDEALI PER QUELLA CHE CHIAMA LA 'RUMBA DELLA ROTAZIONE'. TRA I PALI NON AMA L’ALTERNANZA E PUNTERÀ SU MERET A CUI DOVRÀ SOLO ACCENDERE QUEL SACRO FUOCO CHE A NAPOLI CHIAMANO CAZZIMMA"

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Giancarlo Dotto per il "Corriere dello Sport"

LUCIANO SPALLETTI LUCIANO SPALLETTI

 

Riparto da qui. Voi di Napoli ve la spasserete con Luciano Spalletti. Perché Luciano Spalletti non vede l’ora di spassarsela con voi, dopo due anni di trattori, zappe, mietitrici, animali d’allevamento e utili riflessioni su qualche superfluo ma inevitabile rimuginio. Smania dalla voglia. Brucia dentro, Lucio, perché il suo desiderio è combustione. 

 

Ero lì che guardavo su “Amazon Prime” la magnifica serie su Josè Mourinho al Tottenham, “Tutto o niente”, e mi dicevo e mi chiedevo, ammirando lo speciale talento dello Special di trapanare le teste dei suoi calciatori, ma direi di chiunque: come sarà l’avvento di Spalletti al Napoli? Il suo modo di presentarsi, di risultare credibile. La sua capacità di contagiare l’ambiente che lo circonda, attirandolo nella sua passione prima ancora che nella sua visione.

 

Quale sarà la sua impronta da subito, nei primi mesi, il suo abbraccio fisico e mentale a una squadra e a una città che, negli ultimi anni, da Mazzarri a Gattuso, passando per Benitez, Sarri e Ancelotti, di storie ne ha vissute tante, euforie molteplici e delusioni brutali. L’ultima, su tutte, a fine stagione. 

 

de laurentiis spalletti de laurentiis spalletti

Conoscendolo, o presumendo di conoscerlo. Si sarà guardato allo specchio un’infinità di volte, non sempre riconoscendosi, ma sempre chiedendosi e rispondendosi: chi sono io e cosa voglio da me? Dovessi risalire alla storia più conosciuta di Spalletti, dall’Udinese a oggi, e dovendo ricavare una definizione da allenatore, lo direi: “un aziendalista ambizioso”. Per capirci, l’esatto opposto di Antonio Conte. Di uno, cioè, che attrae i grandi club con i titoli e li mette in fuga con i diktat. Richieste e pretese che equivalgono a colpi di cannone.

 

LUCIANO SPALLETTI LUCIANO SPALLETTI

«Le mani, per essere credibili, devono avere i calli», è tra le tante aforistiche uscite di Spalletti, una delle sue preferite. Per dire che la lezione della terra e le regole della natura sono maestre. L’uomo ha una testa complessa, spesso infestata da eccessi di pensiero e sprechi di fantasmi, ma ha solide radici e una virtuosa certezza che gli viene dalla storia di famiglia: si deve sempre agire tenendo conto del bene comune.

 

Entrare in una situazione con attitudini predatorie o avendo chiaro solo il proprio vantaggio è un errore che prima o poi si paga. Luciano, direbbe lui, ha piacere a giocare di squadra. Non conosce altro modo. Vuole vincere, sì, ma senza lasciare alle spalle scie di lacrime e sangue. 

 

RIPARTIRE Il suo patto con Aurelio de Laurentiis, fin troppo facile intuirlo. La Champions League. Riportare il Napoli là dove c’è tutta la differenza del mondo. Là dove è indispensabile stare per sopravvivere. E qui, direi che a Napoli sono messi decisamente bene. Dalla sua prima Roma, passando per lo Zenit, la seconda Roma e l’ultima Inter, è un obiettivo che Spalletti ha sempre realizzato. Se lo conosco un poco, immagino che non abbia chiesto nulla di tassativo, in entrata o in uscita, all’uomo con cui sarà uno spettacolare match tutto da registrare d’intelligenze vulcaniche a scontro e a confronto. La sua verosimile ambizione? Ripartire dall’esistente. Dall’organico che c’è. Il suo spirito aziendalista? Accettare quello che la società propone e dispone. 

 

LUCIANO SPALLETTI LUCIANO SPALLETTI

Spalletti è strafelice di allenare il Napoli, questo Napoli. Per tanti motivi. Napoli, come Roma, è la fornace giusta per la sua testa calda, il posto giusto per delirare calcio. Arriva come una pagina perfetta nella sua storia non sempre facile di allenatore. L’altro motivo. Questo Napoli, questi giocatori, sembrano nati e inventati per giocare il calcio che è nella sua testa. Dai tempi dell’Udinese, sublimato con la Roma e messo tra parentesi solo all’Inter, per ragioni tattiche e di organico. 

 

DUE REGOLE FONDAMENTALI La prima. Non dare riferimenti. Popolare la trequarti di incursori effimeri e letali, capaci di apparire e svanire con la stessa facilità e lo stesso risultato micidiale. I giocatori che lui ama, quelli non scolpiti in ruoli rigidi, ma capaci d’interpretazioni fluttuanti, di andare a prendere in prestito zone del campo, le meno trafficate, e, da lì, andare ad attaccare nei buchi indovinati per fare male. Quella che lui chiama “la rumba della rotazione”.

 

LUCIANO SPALLETTI LUCIANO SPALLETTI

I Di Natale e i Di Michele dell’Udinese, i Perrotta, i Perotti, El Shaarawy, il Nainggolan inventato trequartista della seconda Roma. E, su tutti, il Totti finto e fino nove, da cui il suo “celebre 4-2-3-0”, riformulato nel 3,5-2-2,5-1. Astruserie numeriche del labirintico Spalletti per rappresentare un calcio dove le identità sono labili e i calciatori abili. A nascondersi e a sbucare dal nulla per diventare tutto. 

 

Seconda regola. Le ripartenze feroci. Palla rubata e assalti sincronici viaggiando su treni come Mancini o Salah, per dirne un paio di feroci su tutti. La presenza di Icardi all’Inter lo costrinse a rimodulare il suo calcio. Costruzione del gioco da dietro per favorire le caratteristiche di un classico buttadentro d’area come l’argentino, poco disponibile a venire incontro alla palla. Nell’insieme, Icardi a parte, una squadra bloccata, l’Inter, con pochi giocatori dal talento camaleontico. 

 

LUCIANO SPALLETTI LUCIANO SPALLETTI

Il Napoli che Spalletti trova sembra disegnato per il suo calcio d’incursori illeggibili. Insigne, naturalmente. Zielinski e Mertens su tutti. Ma anche Lozano, Politano (che ha già avuto alla Roma), Elmas e Fabian Ruiz. Tutti giocatori che sanno godere della condizione di essere precari dentro la partita. Non esseri proprietari di un ruolo o di una zona del campo. Il calcio celebratissimo di Guardiola al Manchester City, per capirci, che sta nella testa di Spalletti dagli anni dell’Udinese. In quanto al portiere. Spalletti non ama l’alternanza (a Roma ne aveva due di valore mondiale, Szczesny titolare e Alisson in panchina). Intuibile che punterà sul talento giovane di Meret, a cui dovrà solo accendere quel sacro fuoco che a Napoli chiamano cazzimma. 

LUCIANO SPALLETTI LUCIANO SPALLETTI

 

Se lo conosco un poco, Spalletti avrà cominciato ad amare i suoi giocatori del Napoli quando ancora non erano suoi. È il suo modo. In questo molto simile a Mourinho. Lasciarsi ossessionare da chi dovrà spartire con lui una storia comune. Insigne e compagni. Statene certi. Avrà imparato tutto di loro, dai tic facciali al colore e alla foggia delle scarpe preferite. Li sorprenderà sin dal primo giorno.

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