Cosa premiamo quando premiamo Gigi Riva? Premiamo il fatto che Gigi Buffon non riesce a trattenere le lacrime quando va ad abbracciarlo. Premiamo la sua sincerità, l’integrità, la coerenza, come quando disse no alla Juventus e a Zeffirelli. Premiamo il talento, il fisico, il sinistro, le sigarette malandrine. Premiamo il calciatore che diventava campione «con un piede solo, visto che l’altro lo usa per salire sul tram».
Premiamo la discrezione con cui teneva il privato lontano dai calci di punizione e le sue sfide al conformismo (la dama bionda). Premiamo l’intuizione di non forzare la mano al destino e di lasciare il calcio a 32 anni, dopo aver già scelto di vincere poco. Premiamo l’uomo di 72 anni che produce vino, ascolta De André e guarda spesso i film di Sordi.
Premiamo il coraggio di non aver dato retta a chi lo mise in guardia in leggiunese: «Ma cosa vai a fare su un’isola, resta qui a lavorare!». Gigi partì, non tornò più e cambiò la storia della Sardegna. Premiamo quei due gol al Napoli in B nel ‘63 che sedussero un Amsicora ancora devoto a Tonino Congiu. Scudetto del Cagliari, 35 reti in Nazionale in 42 partite, Italia-Jugoslavia 2-0: il Collare d’oro consegnato da Malagò è un Oscar alla carriera di un gentiluomo che vinceva pure quando perdeva. E all’inizio perse parecchio: «Non ho avuto un’infanzia». Si è dovuto inventare un’infanzia e una vita dopo. Esperimento riuscito alla perfezione. ( e. si.)
2. «LA SERA ASCOLTO DE ANDRÉ RICORDANDO IL NOSTRO WHISKY AVREI VOLUTO IL PALLONE D' ORO»
Elvira Serra per il Corriere della Sera
Sul cartello «Scuola calcio Gigi Riva» c' è il tiro mancino con cui è passato alla storia. «Hai visto? È il sinistro», si accerta che l' abbia notato. È la settimana più fredda che la Sardegna ricordi, il riscaldamento è spento e la finestra è aperta.
«Chiudo?». Poi aggiunge con garbo se può fumare lo stesso una sigaretta, di quelle lunghe e strette e senza immagini terrificanti sul pacchetto.
«Setaccio i tabaccai di Cagliari. Quando non ne troverò più mi rassegnerò a comprare le altre». Intorno a noi, scatole accatastate con vecchie maglie della Nazionale, calendari appesi fermi a novembre 2005, dicembre 2001, settembre 2014. I volti sorridenti delle nipotine. San Luigi. Gagliardetti vari. Libri di sport. La foto di una neonata con dedica:
«Al mio carissimo idolo con stima e affetto». Il computer è acceso su YouTube, con i video di Raffaella Carrà, Alberto Sordi e Checco Zalone. Cominciamo (e ci daremo del tu, perché Gigi Riva per un sardo nato negli Anni 70 è come Gesù Bambino: l' alternativa è dargli del voi).
Gigi, come stai?
«Bene, mi annoio. Sono pieno di acciacchi».
Che effetto ti fa invecchiare?
«Mi manca la gioventù. Ma bisogna accettare la vecchiaia e sperare che duri il più possibile».
Hai paura di morire?
«Un po', ma prima o poi ti tocca... Mi spaventano di più le malattie».
Come passi le giornate?
«Mi sveglio verso le 9.30, Maria Grazia mi prepara la colazione: cappuccio e brioche».
Maria Grazia? Questa è nuova.
«Hanno insistito i miei figli, viene a darmi una mano dalle 9 all' una. Di mattina resto a letto a guardare i programmi sportivi. Poi mi faccio un pisolino e alle tre e mezzo esco a fare una passeggiata con i miei amici: Giuseppe Tomasini, Cesare Poli o altri conosciuti camminando. Se piove, prendo l' ombrello, ma esco lo stesso, altrimenti di notte non dormo».
Vai sempre a cena da Giacomo?
«Lui è la mia chioccia. Ormai ho il mio tavolo alla Stella Marina di Montecristo. La carne non la mangio quasi più, me ne davano troppa per i muscoli. Ora solo pesce e un po' di vino».
Il tuo preferito?
«Il mio».
Produci vino?
«Si chiama Rombo di Tuono , è un Cagnulari. No, non lo produco io, è della cantina Alba e Spanedda, ma c' è la mia foto sull' etichetta».
E ti pagano?
«Certo, mi devono dare la percentuale. Ho messo come condizione che fosse buono. Volevano che firmassi la bottiglia, ma era troppo».
Qui nello studio come passi il tempo?
«Internet è formidabile. Guardo vecchi filmati di Sordi, Jannacci, De André. Quelli della mia generazione».
Chi hai conosciuto, di loro?
«Fabrizio De André, eccezionale. Un calciatore del Cagliari era stato trasferito a Genova e gli disse che ero un suo fan. Così combinò un appuntamento».
Come andò?
«Eravamo a casa sua, uno di fronte all' altro su due divani diversi. Se ci ripenso... Lui era chiuso, io ridicolo. A un certo punto si è alzato ed è andato a prendere una bottiglia di whisky, ne ha versato un bicchiere per ciascuno e lì siamo partiti come treni...».
Cosa vi siete detti?
«Gli ho fatto mille domande. Aveva appena scritto Preghiera in gennaio , in una notte. Volevo sapere come gli veniva l' ispirazione, mi raccontò che di giorno dormiva e di notte usciva e ascoltava i rumori della campagna. Era un grande. I suoi concerti li ho tutti memorizzati e li ascolto la sera».
La canzone che ami di più?
« Preghiera in gennaio e Bocca di Rosa ».
Conosci a memoria le parole?
«Sì, ma non te le canto».
Ci ho provato... Parliamo d' amore?
«Va bene».
Il primo?
«Era di Leggiuno: avevo 17 anni, lei 16».
Chi era?
«Non te lo dico sennò poi scoppia un caos».
(Ride).
Negli anni 60 sembravi un Bronzo di Riace.
Come facevi con le spasimanti?
«Ero molto riservato. La domenica sera, dopo la partita, andavo a Roma. Per un periodo ho alloggiato in albergo, avevo delle amiche...».
Poi c' è stata Gianna, la madre dei tuoi due figli, Nicola e Mauro.
«Fu una cosa enorme, per quei tempi. Mi misero sulla copertina di Stop e di Novella 2000.
Però sul campo mi rispettavano tutti, mi hanno sempre giudicato solo come giocatore».
E perché non vi siete mai sposati, dopo il suo divorzio?
«Ma te lo immagini cosa succede se due si sposano?».
No, dimmelo tu.
«Non ero il tipo che stava a casa in pigiama.
Quando smisi di giocare cominciarono gli impegni come team manager. Ero sempre fuori».
Vi vedete ogni tanto?
«No, ma siamo stati tutti insieme a casa sua la sera di Natale. I miei figli hanno insistito, credo che prima non me lo chiedessero per timidezza. Lei ha preparato delle cose bellissime, molto buone. Non dovevamo farci regali, ma poi andando via mi sono trovato con un profumo che non so da chi sia arrivato...».
Hai insegnato tu ai tuoi figli a giocare a calcio?
«No, ero troppo occupato e li ho mandati alla mia scuola calcio. Nicola è molto tecnico, bravo; il piccolo assomiglia a me, tutto grinta, una volta giocò anche con una distorsione al ginocchio. Il Cagliari lo voleva, ma lui non ci è voluto andare. Quando era in prima categoria si faceva chiamare Mauro e basta, senza Riva».
Ti hanno reso nonno cinque volte.
«Tutte femmine! Virginia, Ilaria, Sofia, Cecilia e Gaia. Un po' mi spiace per il cognome, ma queste bambine sono così affettuose che quando ti abbracciano ti dimentichi tutto. La parola nonno mi dà una grande emozione».
Passiamo al calcio. Il gol più bello?
«Forse la rovesciata a Vicenza? Qualche volta me la vado a rivedere su Internet, assieme ad altri spezzoni di partite. Li guardo e poi cambio, metto musica: mi ricordano troppo il passato».
Hai mai più incontrato Norbert Hof, il «boia del Prater» che ti spezzò la gamba durante la partita Italia-Austria del 31 ottobre 1970?
«No. Ma se me lo trovassi davanti oggi non gli direi niente. Era una punizione al limite dell' area, potevo fare gol e lui cercò di impedirmelo entrando da dietro a forbice. Mi ruppe tibia e legamenti. Mi fa ancora male quando fa freddo. Se ci ripenso mi dispiace solo per il Cagliari: eravamo in testa, avevamo battuto l' Inter a San Siro 3-1».
Dopo lo scudetto rifiutasti di passare alla Juve: avevano offerto al presidente Andrea Arrica un miliardo di vecchie lire. A quei tempi un giocatore non poteva dettare le regole...
«Infatti, ma io ero disposto a smettere. Allora Arrica mi rispedì a casa. Poi però mi fece chiamare per il ritiro di San Marcello Pistoiese: lì ho capito che gli era passata».
Nel 1970 diedero il «Pallone d' Oro» a Gerd Müller, che ai Mondiali in semifinale contro di voi azzurri aveva perso. Ci rimanesti male?
«Müller? No, me la presi per quell' altro».
Gianni Rivera? Ma era l' anno prima.
«Mi sta ancora qui. Stavamo facendo un bellissimo campionato, ero capocannoniere. Dopo avremmo vinto lo scudetto».
Oggi però Giovanni Malagò ti consegnerà il Collare d' Oro, la massima onorificenza del Coni. Sei contento?
«Sì, e lui è stato gentilissimo. Ha deciso di venire fino a Cagliari perché io non ero potuto andare a Roma a ritirarlo. Penso davvero che sia un bravo dirigente».
Torniamo ai colleghi. Rivera non ti sta simpatico.
«Ma sì... Forse non si sarebbe dovuto dare alla politica».
Zoff?
«Non ci sentiamo, ma credo che siamo buoni amici».
Pelè?
«Una persona umile».
Tra Pelè e Maradona?
«Sono due fenomeni, difficile scegliere. Scegline tu uno e io scelgo l' altro».
L' allenatore più bravo?
«Scopigno».
Non vale.
«L' allenatore più bravo è quello che vince».
Quindi Allegri?
«Penso di sì, ma ha giocatori buoni».
Anche l' Inter ha giocatori buoni...
«Ma quasi tutti stranieri. Come possono legare e diventare amici? Un giorno devi poter andare a cena da uno, poi dall' altro».
Insomma, c' è un allenatore che ti piace?
«Ranieri. È umile, riconosce gli errori. È stato qui al Cagliari, è un bravo ragazzo».
Sei mai tornato a vedere il campetto nel quale cominciasti a Leggiuno?
«Sì, era quello dell' oratorio, a cinquanta metri da casa. Sono stato fortunato, avrei pagato io per giocare».
Hai ancora la tua vecchia maglia numero 11?
«Sì, ma non chiedermi dove, questo posto è un caos, avrai capito che sono un disordinato».
Il tuo film preferito di sempre?
« Il dottor Zivago , bellissimo. E poi Julie Christie...».
Credi in Dio?
«Sono credente però non vado a messa. Ho deciso di comportarmi benino e non penso che la differenza la faccia andare in chiesa. Prego sempre un Requiem per mio padre, mia madre e la mia sorellina».