L’ARCA DI NOAH (YANNICK) – DOPO IL 3° TRIONFO IN COPPA DAVIS DA CT DELLA FRANCIA, PARLA L’EX TENNISTA (E MUSICISTA): “I PIU’ GIOVANI MI CONOSCEVANO SOLO PER LE MIE CANZONI… IL MIO SEGRETO? UN PO’ DI FORTUNA – LA MEDITAZIONE, LE POLEMICHE CONTRO LA LE PEN E QUELLA VOLTA CHE PENSO’ DI BUTTARSI DA UN PONTE…

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Alessandro Grandesso per Sportweek – La Gazzetta dello Sport

 

Torna lui e la Francia trionfa. Come con l’ultimaCoppa Davis, la decima per i francesi, alzata a Lilla a novembre. La stessa che aveva vinto sempre da capitano nel ’91 e nel ’96. Merito del talento, ma anche del carisma che Yannick Noah trasmette ai suoi giocatori, come prima faceva con i suoi fan da cantante di successo.

 

Due anime, di musicista e campione, che in fondo ne fanno un personaggio atipico sia per il mondo dello sport, sia che per quello dello spettacolo. E a SportWeek, Noah svela qualche segreto del suo stile vincente. Delle tre Davis vinte da c.t., quale l’ha emozionata di più? «Sono tre vittorie intense,ma diverse, in contesti differenti. La sensazione di oggi è dolce, magnifica. Sono felice di aver portato la coppa a mio figlio quattordicenne che nonmi  aveva mai visto in questo ruolo prima, come invece le sorelle e i fratelli. Era molto fiero di papà. Ha dormito con la coppa e questo per me è fantastico». eppure non era scontato tornare e vincere di nuovo. Proprio lei aveva notato che alla Francia manca una cultura della vittoria. «Ricordavo di partite in tv con commentatori praticamente tifosi. Oggi invece siamo nella critica permanente. Esistono media (anche molto importanti) che fanno della negatività una ragione di esistenza .Imediapossono condizionare i tifosi, l’ambiente in uno stadio. E gli atleti, che sono persone sensibili. Rispetto a vent’annifa, ho notatoun vero cambiamento in senso negativo, al limite della cat tiveria. A questo ci si abitua. Ma ricordo che, già ai tempi in cui ero giocatore, c’era una tendenza alla soddisfazione del secondo posto».

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Allora come si fa a vincere?

 «Trovando un approccio diverso, parole diverse. Quando inizio una nuova avventura, è interessante chiedere ai giocatori perché vogliano vincere. La risposta non è facile. Ci si accorge che certi campioni non hanno altra risposta che la voglia di vincere. Quando si arriva a una vera risposta, invece, si può individuare un obiettivo preciso da inseguire e raggiungere».

 

Quindi perché la sua Francia voleva vincere questa Davis?

«Giochiamo per chi ci è vicino e fa di tutto per noi, famiglie, mogli; i miei figli che a volte ho sacrificato per lavorare lontanoda loro,perdendomolte cose della loro vita. E vale anche per i miei giocatori, che stanno dieci mesi l’anno sul circuito.

 

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 Ma sognavo di riportare la Davis al centro federale per mostrare ai giovani chelenostre vittorie non sono solo quelle su foto sbiadite. Molti di loromi conoscevano solo come cantante. Adesso invece possono toccare la coppa, vedere immagini fresche e trovare uno stimolo inpi ùprimadiallenarsi ogni mattina. SapendochechihavintoquestaDavis, prima ha faticato come loro.Per i giovani è importante la dimensione del sogno da realizzare».

 

 Ogni volta che lei torna la Francia vince. Qual è il suo segreto?

«C’è un po’ di fortuna, e poi mi piace trasmettere agli altri. Ho praticato uno sportindividuale, ma sarei stato più appagato in uno sport collettivo. Come mio padre Zacharie, calciatore professionista a Sedan, o mio figlio JoakimnellaNba.ConlaCoppaDavis ritrovo un po’ le loro stesse emozioni di spirito di squadra».

 

Ha allenato i suoi giocatori anche con la meditazione. Perché?

«I giocatori sono relativamente ricettivi a questa pratica, ma io la considero essenziale per la preparazione mentale di uno sportivo di alto livello. Aiuta la gestione delle emozioni, che si tratti di una finale o di un allenamento. Con la meditazione si va al di là della semplice fiducia che si accumula vincendo qualche partita.Ci si può proiettare più facilmente nell’evento da affrontare». 

 

Il suo mestiere di cantante l’ha aiutata in questa esperienza da c.t.?

«La prima motivazione per realizzare un album o un concerto è di far piacere a chi ti ascolta. Il pubblico è essenziale anchenello sport.Quando fai un bel punto o un bel gol, non ti guardii piedi, ma itifosi che ti danno la carica. Nella musica è lo stesso».  

 

Se questa Davis fosse una canzone, che titolo le darebbe?

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«Siamouna squadra diuna decina di giocatori. La nostra forza è la coesione. Direi: Stareinsieme».

 

Questa decima Davis contribuisce anche al clima positivo che si respira nella Francia di Macron? «Innanzitutto spero che molti ragazzini inizieranno a giocare a tennis dopo aver visto i genitori esultare davanti alla tv. È successo a molti dei nostri campioni, magari colpiti dalle lacrime di gioia di papà quando io vinsi il Roland Garros. Capitò ad Amelie Mauresmo, che in seguito allenai.Poi esistonodei cicli.Usciamo da un periodo inquietante, dove la gente aveva perso fiducia.Queste vittorie aiutano a ritrovarla: è il nostro piccolo contributo.Ricordo il trionfo mondiale dellaFrancia del calcio, nel 1998:fu un momento che andava ben oltre il gioco. La gente iniziò a pensare che anche la Francia era bella. Ed è quella Francia che difendo anch’io oggi».

 

2. NOAH

Emanuela Audisio per www.repubblica.it – 11/04/2016

Non è stato il migliore, ma il più diverso. In campo, sul palco e fuori. Il suo stile a 56 anni è ancora inconfondibile. Yannick Noah ha amato e giocato ovunque: con la racchetta e con la voce. Tre mogli, 5 figli, 11 album dopo il suo ritiro ('91), più di sei milioni di dischi venduti. Primo nero e ultimo francese dopo 37 anni a vincere il Roland Garros. Da ct tre Coppe Davis: due con gli uomini ('91 e '95), una con le donne (Fed Cup '97). Un idolo, uomo di più mondi, sport e rock, Ashe, Marley e Mandela. Da pochi mesi è tornato a fare il capitano della Francia. L'incontro è a casa sua: tra casse di vino, sigarettine e libertà. Il corpo non è cambiato, la gioia di vivere nemmeno. Se non rimpiangeva niente la Piaf, figurarsi lui.

 

"Ho fatto tutto per il piacere. Ho giocato per piacere, ho cantato per piacere. I miei genitori hanno sempre sottolineato il mio privilegio: fai la cosa che ami, cosa c'è di più bello? Così a 31 anni ho smesso di giocare e ho iniziato a cantare. Sì, ho avuto successo. Ma per riuscire bisogna dedicarsi. Ci ho messo dieci anni per imparare a giocare a tennis e altri dieci per apprendere a stare sul palco.Ho suonato davanti a poche facce, a persone che non mi ascoltavano, in posti senza elettricità. Sono passato anche io dalla gavetta, ma non mi ha mai pesato, nemmeno fare sette ore di prove. Io amo quello che faccio. Anche la mia rabbia. Sono abituato che si dà aiuto a chi lo chiede. Gli altri esistono, non si può lasciarli fuori con la scusa che disturbano".(…)

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Ha scritto la canzone: Ma colère. Contro Le Pen e il Front National.

"Mi voglio impegnare per chi non conta, voglio dare la mia voce a chi non la ha. Il successo non è mai stato la mia finalità, nemmeno da tennista. Lo è stato il gioco, che è molto più grande del risultato. Mio padre è del Camerun, mia mamma era francese, mi trovo nella doppia posizione del colonizzato e del colonizzatore. Sono in una situazione complicata: in Francia sono nero, in Africa non lo sono abbastanza. Il mio carattere mi ha portato a prendere posizione verso il Front National. Ho scritto e cantato: La Mia Rabbia. E sul web sono stato trucidato da una violenta campagna anti-Noah. La facilità e la superficialità con cui si può offendere tutti, senza firma, è un danno".

 

Antifascista da avanspettacolo, era la critica.

"Una volta trovavi l'imbecille al bar che diceva qualche parola di troppo, gli rispondevi di farsi passare la sbornia, di mettersi sotto una doccia fredda e di andare da uno psicologo. Ora su internet ti trovi sommerso e linciato da insulti di vigliacchi senza nome. Sono socialista, ho cantato in piazza per Hollande, mio candidato nel 2012. Tre minuti di canzone mi sono valsi due anni di polemiche. Il messaggio è sempre quello: stai buono, non immischiarti".

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(…)

 

Gli sportivi si lamentano di non avere tempo.

"Non è vero. Ce l'hanno, ma non lo sanno. Fanno soldi, ma restano fragili, insicuri, con nessuna vera percezione di sé. Gli manca uno specchio lucido. C'è sempre chi gli organizza cosa dire e cosa fare: preparatore, psicologo, nutrizionista, agente, padre, madre, baby-sitter. Si sentono grandi, invincibili, e quando il mondo gli cade addosso si ritrovano piccoli e incapaci".

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Anche lei a 23 anni sul ponte sulla Senna ebbe cattivi pensieri.

"Vero. Ero stordito, volevo buttarmi giù. Una crisi d'identità: ero veramente l'eroe che la Francia osannava? Dopo la vittoria al Roland Garros il mio telefono bolliva: venivo invitato da tutti a far tutto. Ero disorientato, senza riferimenti, possibile che fossi così buono bravo e bello? Poi ho preso coscienza: è il percorso che fai per arrivare alla cosa più importante, mi sono rivisto bambino, a piedi nudi, a Yaoundè nel Camerun a giocare con un pezzo di legno per racchetta. L'ha capito perfino uno svedese come Mats Wilander, sconfitto in quella finale".

 

Vi siete parlati?

"Sì. Mi ha confessato una cosa splendida: 'E stata l'unica volta nella mia vita in cui è stato bello perdere'. Anche Vitas Gerulaitis sapeva che la sconfitta non è tutto. Resta geniale la sua battuta sul ritiro di Borg, per 16 volte sua bestia nera: deve ancora nascere chi sia in grado di battere Gerulaitis 17 volte di seguito. A quella generazione mi ha unito anche la musica".

 (…)

 

Ashe, Mandela, Ali: le sue stelle nere.

"Ma manca la luce. Non c'è più chi può riscrivere una speranza per il mondo. Non ci sono più i Mandela, non c'è più una visione. Comandano le leggi di mercato, Wall Street, gli assetti economici, il capitale pretende libertà, sono poche le forme di protesta, a parte qualche gruppo e movimento. Mi sembra ci sia uno sciopero delle idee, non vedo luminosa chiarezza di pensieri. Ma io non diserto il sentimento".

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