Paolo Tomaselli per il Corriere della Sera
«Non so quali mosse posso aspettarmi da parte sua, non sono nella testa di Pep». Thomas Tuchel fatica a nascondere la sua esasperazione, non tanto per l' ennesima domanda su Guardiola, ma per il fatto di non poter entrare davvero nella mente del collega che ogni volta spinge gli avversari ad andare oltre se stessi. A forza di varcare quel confine, prima in Bundesliga e poi in Premier, il destino ha voluto che a dare il bentornato in finale dopo dieci anni al mistico catalano sia proprio l' ex difensore bavarese, allenatore già a 25 anni, che dopo l' esplosione al Mainz andò a cena con Pep a Monaco. Decidendo di voler essere come lui.
Ed è uno strano destino, perché il Manchester City arriva favorito a questo appuntamento, spostata per il secondo anno di fila da Istanbul al Portogallo: eppure per la squadra resa grande dagli sceicchi di Abu Dhabi è la prima finale della storia. Tuchel invece è il primo ad arrivare in fondo con due squadre diverse per due anni di fila: ad agosto, mentre Guardiola finiva fuori giri con il Lione, lui se la giocava contro il Bayern a Lisbona.
Prima di Natale, il Psg lo ha cacciato e lui da fine gennaio ha trasformato il Chelsea: lo ha preso al nono posto e ha chiuso al quarto, conquistando la qualificazione in Champions. Per i londinesi di Abramovich, campioni nel 2012 e alla terza finale su tre con un allenatore subentrato, questa serata di gala nel cuore di una città fiaccata dalla pandemia, è un extra di lusso, che arriva dopo i 247 milioni spesi in estate. Per il City, che ha speso un po' meno (169) invece è il compimento di un ciclo di cinque anni, da un miliardo di euro di investimenti, che ha portato tre vittorie in Premier e per la prima volta ha attecchito in Europa.
Merito di Guardiola, ovviamente, anche se la sua falsa modestia raggiunge nuove vette nel giorno in cui può eguagliare Zidane, Ancelotti e Paisley con tre Coppe: «Se mi avessero detto a inizio carriera che avrei fatto una finale di Champions non ci avrei creduto. Ora sono alla terza ed è un privilegio: so che dovremo soffrire, ma anche essere noi stessi. Sappiamo cosa fare».
Tra le novità che hanno dato quel qualcosa in più ai Citizens, accompagnati sulle rive del Douro da seimila tifosi pagati dallo sceicco Mansour (saranno in tutto 16500 gli spettatori), c' è il formidabile centrale Ruben Dias. Ma Tuchel ha Thiago Silva e non a caso era dal 2006 che due finaliste non erano così ermetiche (4 gol subiti a testa).
La differenza sta negli attacchi, perché quello del Chelsea nonostante due lame affilate come Mount e Pulisic è basato su canoni più classici, con un riferimento come Werner, che non ha convinto del tutto (12 gol). Guardiola invece ha creato un meccanismo infernale senza centravanti, con Mahrez e Foden sugli esterni e De Bruyne falso nove, doppiamente falso nelle rotazioni continue con Bernardo Silva e Gundogan (17 gol, più di tutti).
RUDIGER E KEPA DIVISI DA TUCHEL IN ALLENAMENTO
È un frullatore sempre acceso, in nome di un calcio ipercinetico, intenso e aggressivo, nel quale il Chelsea non si tira indietro, anche grazie all' azzurro Jorginho e al magnifico tuttofare Kanté. È una all english final che promette più di Liverpool-Tottenham del 2019. «Dobbiamo essere coraggiosi, li abbiamo appena battuti due volte - ricorda Tuchel, che fa allenare la squadra sul prato del Dragao in un esagono -.
È molto di più di me contro Pep». Ha ragione: è Guardiola contro il mito di se stesso.
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