1 - SUPERLEGA, VINCITORI E VINTI. ECCO CHI PAGHERÀ LE CONSEGUENZE
Andrea Di Caro per www.gazzetta.it
La Superlega è durata lo spazio di 48 ore, in cui ha raggiunto un singolare record: unire nella contrarietà leader politici, il parlamento Europeo, istituzioni sportive, tutti i media internazionali, tifosi, allenatori e giocatori, persino delle società che avevano aderito al progetto. E che non immaginavano si sarebbero trovate di fronte questo scenario.
superlega protesta il calcio è dei tifosi
Ci piacerebbe pensare che a far naufragare il «piano criminale» sia stata l’opinione pubblica, soprattutto quella inglese, con le tifoserie dei club ribelli compatte nel contestare la scelta, ma da troppo tempo ormai i tifosi vengono trattati solo come clienti per lasciarsi andare al romanticismo. È stato invece innanzitutto il pugno duro della politica - con Boris Johnson che ha “spaventato” le proprietà straniere dei club inglesi, i primi a cedere - e poi l’aut-aut “chi aderisce è fuori da tutto” urlato da Uefa, Fifa, e Federazioni: un muro contro il quale è finita la corsa appena cominciata.
Come fossero ciliegie, nel giro di pochi minuti ieri sera prima si è saputo che, dal City allo United, i club inglesi stavano preparando la Brexit dalla Superlega. Intanto in Spagna il presidente del Barcellona Laporta demandava la decisione ai soci, mentre l’Atletico vacillava. La diga è apparsa di cartone, un tragico Vajont politico-sportivo, interrotto dalla scelta di una riunione di urgenza per cercare di arginare la figuraccia planetaria. Tutto inutile. In nottata è arrivata la conferma dell'uscita dei club inglesi e le scuse dell'Arsenal: «Abbiamo sbagliato, ci dispiace». Solo dopo la disgregazione, ecco la prima italiana, l'Inter: «Non siamo più interessati».
Nell’era della tecnologia esasperata però i social non hanno perdonato: “Da Superlega a Superfuga”. “Il progetto è durato come un gatto in tangenziale”. Nelle ultime 24 ore, oltre alle minacce delle istituzioni, erano partiti anche gli ambasciatori dell’Uefa per convincere i club ribelli a ripensarci. Tutti tranne uno: la Juventus di Agnelli. Con lui non deve trattare nessuno, ordine di Ceferin. Dopo avergli dato pubblicamente del bugiardo e del serpente, ora il numero uno dell’Uefa cova vendetta e vuole la sua testa. I tre club italiani hanno resistito insieme fino all'1.30 di notte.
Ma sarebbe meglio dire, visto come è avvenuta l'uscita di scena interista, che hanno aspettato gli eventi e le ufficialità altrui. Perché nella resistenza c’è una forma di coraggio e di difesa delle proprie posizioni, che non abbiamo mai percepito soprattutto nei due silenti club milanesi, poco incalzati anche dalle rispettive tifoserie. Se, come tutto lascia prevedere, siamo a un passo dal rompete le righe, quella di Agnelli sarà una debacle clamorosa.
FLORENTINO PEREZ ANDREA AGNELLI 1
È passato in pochi battiti di ciglia da uomo forte a livello europeo, gonfio della tirannia di nove scudetti consecutivi della Juve e del suo ruolo di presidente Eca, a dirigente inviso a quel potere che aveva abbracciato fino a tre giorni fa, prima del grande tradimento. Tra accuse che gli sono state rivolte in Uefa e quelle ricevute in Lega per la gestione della trattativa poi fatta naufragare con i fondi, ce ne sarebbe abbastanza per farsi da parte.
Come ripresentarsi nel consesso europeo, senza danneggiare la Juve, con la propria immagine screditata? Già ieri circolavano voci, smentite, di sue imminenti dimissioni. Difficile immaginare uno tsunami simile in casa bianconera con la zona Champions ancora da conquistare. Dalla Superlega all’Europa League, sarebbe un colpo inimmaginabile per il già critico bilancio del club.
EQUIPE SULLA CREAZIONE DELLA SUPERLEGA
Se il futuro dell’era Andrea Agnelli appare appeso a un filo, la figura di Inter e Milan, sempre in seconda fila senza esporsi, non è stata certo da top club. Le scelte finali di aderire alla Superlega debbono essere addebitate alle due proprietà: Suning ed Elliott. A rappresentare le società c’erano i dirigenti nerazzurri Marotta, Antonello e Cappellini, che hanno certo influenzato la decisione del giovane e ancora inesperto Zhang, e quelli rossoneri il potente Gazidis e Scaroni. La loro posizione è ovviamente molto diversa da quella di Agnelli, ma anche nel caso di Marotta e Scaroni risulta difficile immaginare come possano ancora mantenere i loro posti nel consiglio federale e in quello di Lega.
2 - SUPERLEGA, PERCHÉ È FALLITA: I CALCOLI SBAGLIATI, LA RIVOLTA DAL BASSO E GLI STOP DELLA POLITICA. MA NON FINISCE QUI
Paolo Tomaselli per www.corriere.it
Petr Cech è alto due metri, è stato il portierone del Chelsea, quello con il caschetto. Adesso fa il direttore tecnico del club londinese e quando viene inghiottito dalla folla di tifosi che bloccano il pullman dei Blues all’ingresso di Stamford Bridge, ha l’aria stravolta. Qualcuno gli urla «traditore!», altri sventolano cartelloni improvvisati, dove la rabbia verso la Superlega è messa nero su bianco: «Cancellatela!», «Orgoglio di Londra», «Super-avidità».
L’età media dei partecipanti sembra bassa, la rabbia è concreta. Cech urla di far entrare il pullman per la sfida contro il Brighton, che viene giocata regolarmente. Il Guardian parla di «choc e smarrimento tra i giocatori»: per la Superlega, prima ancora che per la reazione dei tifosi della squadra del miliardario russo Abramovich. Una mobilitazione, che si era già estesa più a Nord, tra i custodi dell’ortodossia del Liverpool (che ha visto anche qualche sponsor prendere le distanze) e del Manchester United.
Le parole, pesantissime, di protagonisti come Klopp e Guardiola, il malessere dei calciatori e le prese di posizione della politica hanno fatto da carburante per la protesta: gli scissionisti hanno sottovalutato questa doppia pressione, dal basso e dall’alto, forse per la distanza di certe proprietà, soprattutto quelle americane, dall’anima dei loro tifosi. Così, la paura dell’ignoto ha il suo peso nel disfacimento dell’accordo tra i club che volevano «salvare il calcio» secondo le parole di Florentino Perez, presidente del Real Madrid. Il primo a salutare la compagnia è Ed Woodward, vicepresidente esecutivo del Manchester United per conto della proprietà dei Glazer. Le voci delle dimissioni di Andrea Agnelli, presidente della Juventus, vengono subito smentite: ma la bufera che ha travolto uno dei principali promotori della Superlega sembra all’inizio, più che alla fine. Perché i calcoli sono stati tutti sbagliati. E le voragini nei bilanci restano.
tifosi del liverpool contro la superlega
Per questo è difficile pensare che tutto si esaurisca così, presto e male. La situazione debitoria delle big è in alcuni casi disperata, gli interventi della politica possono essere considerati come ingerenze, gli studi legali promettono battaglia: comunque vada a finire, il calcio non sarà più come prima. Forse nemmeno la Juve: Alessandro Nasi è il primo nome per l’eventuale successione di Agnelli.
Tifoseria e politica, cuore e ragione, romanticismo e visione globale: tutto questo ha un peso nello sgambetto al gigante dai piedi di argilla, come un vento improvviso, violento. Ma non può essere tutto qui, non è il caso di farsi troppe illusioni sulla forza motrice del pallone come sentimento. Il terreno che viene a mancare rapidamente sotto ai piedi degli scissionisti è fatto di soldi, politica, interessi forse ancora più alti di quelli della Superlega stessa. In un certo senso si può dire che la creatura di Perez e Agnelli, prigioniera di una comunicazione disastrosa, è rimasta schiacciata dal basso. Ma soprattutto dall’alto, con geopolitica ed economia strettamente intrecciate.
ginevra elkann alessandro nasi
L’asse franco-tedesco è stato decisivo, perché pensare di fare una Superlega senza le ultime due finaliste — Psg e Bayern — è un rebus senza soluzione. Non perché Neymar o Lewandowski sono giocatori straordinari, ma perché quello tedesco è il secondo mercato del calcio dopo quello inglese, con sponsor pesantissimi che investono anche nella Uefa: i club principali non hanno debiti e grazie alla loro composizione societaria hanno il polso della loro tifoseria.
Il Psg dei qatarioti non può, nemmeno volendolo, andare contro Uefa e Fifa, dato che Doha ospiterà il (discusso) Mondiale 2022. A questo si aggiunge la composizione dei fondi che avrebbero finanziato la Superlega: sarebbe coinvolta l’Arabia Saudita, con la quale lo stesso Qatar è in cattive relazioni. Il romanticismo può attendere, insomma. O al massimo fare da sfondo. Se la Superlega non si farà, è a causa dei numerosi calcoli sbagliati da parte dei suoi ideatori. Troppi per non ipotizzare un colpo di coda disperato. Almeno di Perez e Agnelli.