Alessandro Bocci per il Corriere della Sera
La prima telefonata è stata di Aleksander Ceferin, numero uno dell' Uefa. La seconda dell' avvocato Sergio Campana, storico leader dell' Assocalciatori. Carlo Tavecchio è ancora il presidente della Federcalcio: ha vinto le elezioni e azzeccato il pronostico.
«Arriverò al 54 per cento», aveva dichiarato. E così è stato alla fine della terza votazione: 54,03 contro il 45,97 di Andrea Abodi, lo sfidante nel bel mezzo di un lungo pomeriggio di un giorno da cani, dentro l' hotel Hilton di Fiumicino, tra dichiarazioni velenose, tradimenti, riunioni carbonare.
Tavecchio, che succede a se stesso, si è mosso con grande abilità. Aveva già conquistato il cuore di Renzo Ulivieri, arrivando a separare allenatori e calciatori e nella notte che ha preceduto il voto è riuscito a ottenere il consenso degli arbitri. Marcello Nicchi, presidente dell' Aia, domenica sera è entrato all' Hilton con un piano preciso: astenersi durante i primi due scrutini e schierarsi con Abodi al terzo.
Ma fiutata l' aria e sentito il parere dei suoi delegati, ha compiuto il grande salto. Una scelta che ha spaccato ancora di più le componenti. Tommasi, presidente dei calciatori, gli ha spedito un sms di fuoco e Abodi non è stato tenero: «Se gli allenatori avevano già deciso da che parte stare quando mi sono candidato, gli arbitri lo hanno fatto dopo un mese e mezzo passato insieme e perciò è stato più doloroso».
È stata la giornata dei lunghi coltelli. Tommasi e Ulivieri non se le sono risparmiate in assemblea. «Prima c' era chi si incatenava per la Federazione, ora quelle stesse catene servono per legarsi alle poltrone», l' affondo di Damiano. «Per fare i rivoluzionari bisogna averne il peso, la cultura, la storia e la statura...», la replica di Renzo.
La divisione tra le componenti è il primo problema che dovrà affrontare il nuovo-vecchio presidente. Il Consiglio Federale nasce spaccato perché la minoranza avrà almeno 7 consiglieri (4 dei calciatori e 3 della Lega Pro, ma forse anche un ottavo di Lega B) su 21 e per fare le riforme sono necessari 14 voti.
«Con la stessa forza con cui ci siamo divisi, ora dico che bisogna unire», ha dichiarato Tavecchio, due minuti dopo essere stato eletto sul palco dentro la sala. Poche parole e qualche lacrima. Il presidente si è commosso, soprattutto quando il pensiero è volato al fratello Gianni che non sta bene. Tavecchio è arrivato in fondo provato, pallido, minato da una bronchite con febbre a 39 e due punture di antibiotico.
Però è felice. Anche se i problemi non mancano. Oltre alle faide interne, mai così esasperate, dovrà risolvere la grana della Lega di serie A, ancora senza una guida. «A me spiace che la componente che traina il movimento non abbia saputo trovare il presidente», la grave accusa di Malagò nel discorso inaugurale.
Tav invierà subito una lettera a Maurizio Beretta invitandolo ad accorciare i tempi. Altrimenti durante il primo Consiglio federale arriverà l' ultimatum: un mese per mettersi in regola e evitare il commissariamento.
La Lega di Via Rosellini, come aveva annunciato, ha votato in larga parte per Tavecchio. Tra le grandi solo la Roma ha scelto Abodi, insieme a Empoli, Bologna, Crotone (che però ha disertato l' ultima votazione) e Sassuolo. Andrea Agnelli, vecchio nemico dell' inquilino di Via Allegri, stavolta si è schierato con lui. Ma ora la Juve, e non solo la Juve, si aspetta che il presidente prenda le distanze da Lotito. «Speriamo che ragioni con la sua testa e non con quella degli altri», ha raccontato Marotta.
Il presidente della Lazio, super attivo, è stato ingombrante, sempre fuori dal seggio a catechizzare i presidenti pronti al voto, senza contare che ha saputo l' esito della votazione decisiva qualche minuto prima dell' assemblea. Troppo. Tavecchio ha vinto, ma Lotito stavolta più che un alleato è stato quasi fonte di imbarazzo.