Paolo Tomaselli per il "Corriere della Sera"
I creditori bussano a Laporta e il presidente del Barcellona fa visita alla squadra anche alla vigilia, dopo aver trascorso la settimana tra invettive all'arbitro e al Var della gara di andata e gli appelli disperati al barcellonismo di ogni ordine e grado per farsi sentire stasera. E pazienza se domenica c'è il Clasico, quello può aspettare. La sfida della sopravvivenza per il Barça, che si è impegnato il patrimonio per spendere altri 158 milioni sul mercato, è qui e ora. E la tensione flirta con l'isteria: con i colori nero e azzurro non si può accedere alle aree dedicate ai tifosi catalani.
Simone Inzaghi sa di averla scampata all'andata e la sua faccia dopo il tocco di mano in area di Dumfries oltre il 90' (non sanzionato in mancanza di un'immagine definitiva) era tutta un programma. Ma l'Inter ha due risultati a disposizione, come del resto ha solo due attaccanti, Dzeko e Lautaro, che non segna da otto partite ma a scanso di equivoci dice «non firmo per il pari, solo per la vittoria»: spendere tutte e due le punte dall'inizio o sfruttare la verticalità di Mkhitaryan dietro l'argentino (con Gagliardini mezzala) è il dubbio principale.
Negli ultimi due giorni Inzaghi ha provato il classico 3-5-2 con il bosniaco, ma così non avrebbe alternative in panchina, a parte quelle sulle fasce, che saranno una delle chiavi della sfida, anche perché Xavi prepara novità: «La partita è importantissima anche per noi - sottolinea Simone - e la affrontiamo sapendo che sarà decisiva. Siamo una squadra matura, ci saranno momenti di sofferenza e altri in cui dovremo essere lucidi: all'andata abbiamo fatto una grande partita, aggressivi, compatti e determinati. Mi sarebbe piaciuto rigiocare a San Siro - sorride il tecnico -, ma ci siamo preparati per una serata all'altezza dell'Inter. Serve un'impresa, perché qui le italiane hanno sempre fatto fatica».
L'Inter ha sempre perso e il dolcissimo 1-0 della semifinale del 2010 potrebbe non bastare: a pari punti e pari gol conterà la differenza reti. Xavi, che qualche finale in carriera l'ha pur sempre vinta, dopo aver fatto il gesto dei soldi con le dita a San Siro all'arbitro Vincic (riconfermato in questo turno dalla Uefa), ripete allo sfinimento che «es como una final», perché la sua squadra può solo vincere per evitare l'onta e il disastro economico di una doppia eliminazione ai gironi: «Ma non firmo per l'1-0, piuttosto per il 2-0. La pressione è su di me, non sulla squadra: devono godersi il Camp Nou pieno e tornare a volare».
Già, ma perché il Barça, primo nella Liga assieme al Real, traccheggia? Colpa della sosta per le Nazionali, degli infortuni dei centrali Arajuo e Koundé e di Christensen: senza certezze dietro e senza la giusta spinta sulle fasce (Fati oggi è favorito su Rafinha) va tutto più a rilento anche perché il vecchio Busquets pare intoccabile. La capacità dell'Inter di non dare profondità a Lewandowski ha fatto il resto. Replicare i capolavori però non è mai facile.
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