Enrico Pitzianti per repubblica.it
Nel 1974 Luciano Anselmino, importante mercante d'arte italiano, commissionò ad Andy Warhol una serie di opere per un compenso, pattuito in anticipo, di un milione di dollari. L'artista all'epoca era già affermato, e per quella cifra avrebbe potuto scegliere di non rischiare e raffigurare nuovamente i soggetti che lo avevano reso celebre, come i divi di Hollywood o i prodotti commerciali riprodotti in serie. Invece fece una scelta anticonformista: dedicare un'intera serie di ritratti a persone che famose non erano. Di più, le modelle scelte appartenevano a una categoria stigmatizzata ed emarginata: le persone transessuali.
Due aiutanti di Warhol furono mandati al Gilded Grape - un locale notturno di New York, all'epoca molto frequentato dalla comunità gay - per trovare rare bellezze da ritrarre. Volti che appartenevano a persone costrette a prostituirsi, sofferenti e abituate a subire una forte riprovazione sociale. Quei ritratti sono di una bellezza e di una dignità sorprendenti. E rivelano il bisogno insopprimibile che Warhol aveva avuto di rappresentare una realtà sofferente, tormentata come lui stesso era nell'intimo.
Andy Warhol è per il mondo l'artista che meglio di tutti ha rappresentato il glamour e il successo, il newyorkese geniale che ebbe per primo l'intuizione di trasformare in arte i volti dei divi del jet set. Oltre a elevare a opere d'arte gli oggetti commerciali più comuni della classe media occidentale, dalle zuppe in barattolo alle bottiglie di Coca-Cola. Tutto vero, ma questo è solo l'aspetto più noto di quello che la critica considera - a ragione - uno degli artisti più influenti del Novecento: appena sotto la superficie, ecco un Warhol completamente diverso.
Un artista ansioso, sofferente, assediato da ombre e contraddizioni, ma anche cagionevole e introverso sin dall'infanzia, quando fu a lungo costretto a letto a causa di una dolorosa malattia non ancora diagnosticata. Fu allora che sua madre Julia, pittrice anche lei, lo convinse a passare il tempo a colorare e disegnare figure e ritratti.
Il titolo che Warhol diede alle opere sui transessuali fu Ladies and Gentlemen. Questa serie dedicata alla bellezza del diverso sarà visibile da domani 22 ottobre a Milano, quando verrà inaugurata Andy Warhol. La pubblicità della forma, mostra curata, con la collaborazione di Edoardo Falcioni, da Achille Bonito Oliva. Cioè da chi per primo in Italia coinvolse Warhol in un'esposizione. E che considera l'artista americano "il Raffaello della modernità", colui che "ha saputo dare profondità e classicità al consumismo di matrice anglosassone".
Eventi come questo (con oltre 300 opere) ci ricordano quanto la figura del re della Pop Art viva tutt'ora un'apparente contraddizione: essere "un artista classico", come lo definisce lo stesso Bonito Oliva, ma anche un pioniere e un innovatore incredibilmente attuale. È stato Warhol ad avere l'idea di utilizzare per la prima volta la serigrafia nell'arte contemporanea. È stato sempre lui a creare migliaia di opere con un approccio produttivo simile a quello industriale servendosi della sua Factory e diventando ricchissimo. Oggi, a 35 anni dalla morte, sono sue le opere vendute a cifre da record (l'ultima, un ritratto di Marilyn Monroe, è stata battuta all'asta per 184 milioni di euro).
Ma nella mostra milanese si scoprono anche i lavori meno conosciuti, pochissimo visti, più cupi, espressione di quello che fu un aspetto della sua stessa vita. È l'altra faccia dell'artista, oscura e traumatica. L'attaccamento morboso a sua madre Júlia, che portò a vivere con lui a New York. E la sofferenza di sentirsi un escluso e un diverso: da bambino per essere figlio di migranti cecoslovacchi, incapace di parlare correttamente in lingua inglese; poi per la sua omosessualità e l'iniziale difficoltà a far accettare il suo gusto estetico eccentrico e anticonformista; infine per le sofferenze causate dalle troppe operazioni chirurgiche.
Nel 1968 Warhol fu vittima di un attentato da cui si salvò per miracolo. Valerie Solanas, autrice e femminista radicale che diventerà poi molto famosa, cercò infatti di ucciderlo: un colpo di calibro 32 sparato a bruciapelo lacerò l'addome dell'artista. Il trauma avrebbe segnato Warhol per il resto dei suoi giorni, rendendolo fragile nel corpo e nella mente, terrorizzato dalla morte e dipendente dai farmaci contro il dolore.
Ma ci fu anche altro che sempre lo fece soffrire. Lui, il re Mida del pop, proveniva in realtà da una famiglia molto modesta. Pittsburgh, dove Andy nacque, era una città industriale e, di conseguenza, operaia. Qui suo padre, Andrew, lavorava in una fabbrica d'acciaio a pochi passi dalla riva del fiume Monongahela. Fu così che il futuro artista delle celebrities crebbe tra le tensioni politiche respirando l'aria del movimento socialista del tempo: forse è per questo che oltre a Elvis, a Mick Jagger e Man Ray dipinse anche i volti di Mao e di Lenin? Sembrano scelte apparentemente contraddittorie, e invece sono probabilmente soltanto il frutto di una vita passata alla ricerca del proprio riscatto.
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