Estratto dell’articolo di Salvatore Settis per la Stampa
TERME DI DIOCLEZIANO MOSTRA - 77
La mostra L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi (fino al 30 luglio, allestimento Guicciardini & Magni) merita attenzione per almeno due ragioni. Prima di tutto la sede, mirabili aule delle Terme di Diocleziano troppo a lungo chiuse al pubblico, dove convivendo con marmi greci e romani anche il gigantismo delle volte e delle mura appare come un dato di natura. Nel riordino del Museo Nazionale Romano (MNR) a cui sta lavorando il direttore Stéphane Verger, le Terme e le altre sedi del Museo (Palazzo Massimo, Palazzo Altemps, Crypta Balbi) vedranno una distribuzione in parte nuova dei materiali, e quali siano le potenzialità delle Terme questa mostra lo rivela ad abundantiam.
Seconda ragione, l’intreccio fra le circa 300 opere esposte: molte dallo stesso MNR (anche dai depositi) o da altre collezioni italiane; non meno di settanta dalla Grecia grazie a un accordo fra i due Ministeri della Cultura. Fra queste ultime spicca, anzi vaut le voyage, una statua di fanciulla dalla necropoli dell’isola di Santorini, fuori misura per le dimensioni (due metri e mezzo) e sensazionale per qualità e per data (c. 650-600 a.C.), ma anche perché esposta per la prima volta.
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Se l’accostamento di opere dall’Italia e dalla Grecia è il visibilissimo ordito della mostra, la sua trama (lo scrivono in catalogo i curatori Massimo Osanna, Stéphane Verger, Maria Luisa Catoni e Demetrios Athanasoulis), «si snoda in due itinerari paralleli e complementari».
Da un lato, l’antichità per come è stata tramandata (i volti e i miti, il senso del tempo e dello spazio), dall’altro la sua plurisecolare ricezione, esemplificata da opere, dal Trecento in poi, che punteggiano il percorso; fino a un Nudo di Katerina Jebb (2023), palesemente ricalcato sull’Angelica liberata di Ingres al Louvre (1819). Due rilievi in mostra potrebbero esserne il vero incipit: quello di Torino con Kairòs, e cioè l’istante o l’inatteso; e quello di Modena con Aiòn circondato dallo zodiaco, che rappresenta il perpetuo avvilupparsi del tempo su se stesso.
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Anche se il percorso di visita non corrisponde a una sequenza cronologica, l’intenzione dei curatori (come scrive Osanna) è di attirare l’attenzione sulle complessità e le interazioni delle culture (al plurale) di età greco-romana, «grazie alla messa in scena di manufatti e opere di altissimo livello, spesso inediti e mai esposti», come un eccezionale carro decorato in bronzo e argento da Pompei.
E se opere-chiave come questa fanno da snodo nella tessitura della mostra, forse ancor più importante è la ricorrenza di tipologie (il ritratto, il rilievo narrativo, le statue di kouroi - ragazzi - e korai - ragazze), o di gestualità altamente codificate, come mostra Catoni in un saggio “a ritroso”, dalle Lamentazioni di Donatello a quelle dell’arte greca arcaica.
Non mancano in mostra apparizioni sorprendenti, come le due icone bizantine con cui sembra chiudersi il percorso (secoli XIV-XV), dove mancano appigli con l’arte classica. La risposta è nel saggio di Athanasoulis, dove con grande finezza si traccia la parabola dell’arte cristiana in Grecia attraverso la tempesta dell’iconoclastia, finché con «la reintroduzione delle immagini l’arte bizantina torna nell’alveo familiare della tradizione greco-romana».
Inserti all’apparenza estranei come queste icone, un ritratto del Fayum, un sarcofago miceneo, un rilievo da Palmira, una dea egizia del XIV secolo a.C. accostata a una testa medio-bizantina del secolo XIII d.C., due urne a capanna laziali del IX secolo a.C. e altro ancora sembrano voler incidere sul contorno geografico e temporale della mostra, come a renderlo meno netto, più incerto. Forse ad allontanare il sospetto di un qualche classicismo?
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È quel che sembra, a leggere in controluce l’uno sull’altro il saggio di Gabriel Zuchtriegel sulle città greche d’Italia e di Sicilia da una prospettiva post-coloniale e quello di Verger su «un’antichità anticlassica», ispirata da «archeologia preistorica, antropologia storica ed estetica». Certo, a percorrerla come un labirinto fra Grecia e Italia, fra remote antichità e qualche rinascenza, questa mostra riflette l’intricato aggrovigliarsi del Tempo, ma offre spesso occasione (o kairós) di fermarsi a pensare davanti a opere di prim’ordine, e in un luogo senza pari.
statua di fanciulla santorini necropoli terme di diocleziano mostra 45