Alessandra Mammì per GQ
Visto da destra Allen Jones (classe 1937) è un maschilista talebano. Uno che trasforma le donne in tavoli, sgabelli e attaccapanni, raffigurandole mezze nude, possibilmente supine e in stile bondage. Arte per lui, sacrilegio per le femministe che ai tempi lanciarono anatemi contro il più autenticamente Pop e ironicamente scorretto degli artisti inglesi. Tanto da sabotarne opere&mostre e pubblicare freudiani saggi per dimostrare che quell’uomo non era creativo ma malato e soffriva di un grave complesso di castrazione. Stanley Kubrick le ignorò e santificò l'irriverente Jones nel mobilio del bar di “Arancia Meccanica” a lui ispirato.
Visto da sinistra, invece Allen Jones è la denuncia “fatta scultura” della donna oggetto ai tempi del capitalismo avanzato. Una creatura che non ha più vita propria, ma è solo funzionale ai desideri e allo sguardo lascivo del maschio medio. Il quale, come si sa, poco avventuroso e tendenzialmente pantofolaio, sogna donne supine in stile bondage nel suo salotto tra poltrona, tavolinetto e schermo tv. Per cui Jones, da vero artista rivoluzionario, sarebbe l’anima critica di questo fetish quadretto domestico.
allen jones . vignetta sulla mostra
«Sono cresciuto socialista e mi sento persino femminista. Non ho neanche il bisogno di difendermi da accuse idiote». Ipse dixit. Chiuso il discorso.
Visto infine attraverso la lente dell’indifferenza e dell’incertezza ideologica che caratterizza i nostri tempi, Allen Jones è una di quelle creature della swinging London che non mollano mai. Forever Young e Forever Icon. Come Mick Jagger o come Vivienne Westwood. Indiscutibile costruttore di immagini e imperituro simbolo di un tempo in cui regnavano colori saturi, dissacrante ottimismo e monumentale ironia. E anche un divertito e superficiale maschilismo.
Insomma quegli anni Sessanta /primi Settanta che eccitano ancora occhi e anime inquiete di collezionisti famosi. Tipo Roman Polanski (sappiamo che possiede un pezzo importante, ma non sappiamo quale), Elton John ( ha un intero set di donnine tutte datate Sixties), Gunther Sachs che anche in onore alla sua fama ne collezionò parecchie (come dimostra la milionaria asta della sua collezione dispersa nel 2012).
Quindi nessuno più di lui merita ora un’incoronazione in patria con mostra antologica pronta al dibattito. In quella stessaRoyal Academy che ha appena celebrato il più wagneriano dei pittori Mittle Europa: Anselm Kiefer. Se la Germania è tanto pesante e tetra da avere ancora nostalgia dell’Oro del Reno, il Regno Unito sfodera il più smaltato dei suoi sorrisi da Joker, opponendo alle teutoniche valchirie, le flessuose pin up in versione arredo d’interni.
body armour di allen jonespgar.
Nel match, però, in terra britannica vince Allen Jones, grazie anche alla complicità di Kate Moss che timbra la copertina del catalogo e s’impone di nuovo come musa indiscussa del contemporaneo pantheon artistico. Fu immortalata incinta e nuda dai pennelli di Lucian Freud; scolpita in acrobatiche posizioni yoga marmi e dorate fusioni di Marc Quinn; ritratta in argento da Gary Hume; tessuta in arazzo da Chuck Close.
Ma tanta esibizione di tecniche e inquadrature è niente in confronto all’iconica, metallica, erotica, statuaria Kate di Allen Jones. Lei che qui trionfa come eterna bad girl, indifferente allo scoccare dei quarant’anni. Lui che sullo sguardo maschile ha costruito un’intera poetica e un’intera carriera tenendo testa agli Young British Artists passati e futuri. Che le donne lo perdonino. O meglio: lo capiscano.
Opera originale di Allen Jones che provoco l ira delle feministe