Giancarlo Politi per giancarlo@flashartonline.com
Ho sempre trovato risibile il Padiglione Italia, molto spesso affidato a curatori maldestri. E’ passato alla storia (e vi resterà a lungo) il paradossale Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi, forse il solo di cui tutti ci ricordiamo e che ha azzerato il valore culturale di una partecipazione alla Biennale di Venezia. E la famigerata idea (per raccogliere denaro) degli eventi collaterali, per cui ogni artista che partecipa a una di queste infestanti rassegne belle o brutte, ormai include la Biennale di Venezia nel proprio curriculum. Inoltre la Biennale di Venezia (come Documenta e Manifesta) è diventata una faticosissima caccia al tesoro in una città quasi impraticabile per un essere umano che non sia veneziano.
Il Padiglione Italia di quest’anno, curato da Milovan Farronato non sarebbe stato un paradosso se la presenza del curatore fosse stata più discreta. Invece il suo narcisismo lo ha portato a prevalere sugli artisti facendola apparire una mostra personale del curatore. A cui riconosco comunque intelligenza e capacità di gestione. Anche se le scelte forse potevano essere più attuali.
Sarebbe auspicabile anche che il Padiglione Italia fosse ricondotto (come era un tempo) all’ingresso principale dei Giardini, attorniato dalle partecipazioni nazionali che non hanno un proprio padiglione. Che con il tempo aumentano e talvolta sono molto interessanti. Ma soprattutto sarebbe auspicabile che un curatore italiano sia inserito nell'eventuale team del Padiglione internazionale. Non è giusto, anche se riconosco che l’Italia è ormai un fanalino di coda, che il paese ospitante non sia adeguatamente rappresentato nel Padiglione Internazionale.
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