Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
«Dicono che impastare pane e dolci aiuta a calmare l' ansia. Bè, se è così io posso diventare un panettiere da guida Michelin», dice Brian Chesky, il fondatore e amministratore delegato di Airbnb, la società che ha creato una rete mondiale di 7 milioni di proprietari di immobili che affittano stanze o appartamenti per brevi periodi. Fino a qualche mese fa gli affari andavano a gonfie vele, anche se la società era comunque in perdita e lui era finito nel mirino degli azionisti per le spese aziendali eccessive e perché nel 2018 aveva rifiutato la proposta delle banche e di alcuni consiglieri d' amministrazione di portare l' azienda in Borsa con un' offerta pubblica che le avrebbe dato un valore di 60-70 miliardi di dollari.
Chesky si era alla fine convinto e aveva messo l' Opa in calendario per quest' anno.
Poi è arrivato lo tsunami del coronavirus che ha colpito l' economia e paralizzato l' industria dei viaggi: fermi aerei, navi da crociera, alberghi chiusi e anche l' affitto di stanze per brevi periodi è crollato. Il Ceo, messo sotto accusa da alcuni azionisti che ne avrebbero chiesto (senza successo) la testa, è finito nel mirino dei clienti infuriati perché, quando cancellavano le prenotazioni, spesso si vedevano rimborsare dagli host solo la metà di quanto versato in anticipo.
A quel punto Airbnb, per salvare l' immagine e anche il business della sua piattaforma che è basato sulla fiducia, ha deciso unilateralmente che i rimborsi per le disdette causate da Covid-19 devono essere totali almeno fino a fine maggio. I clienti si sono calmati, ma è montata la furia dei proprietari che affittano attraverso Airbnb: avevano già perso quasi tutte le loro entrate e ora è venuto meno anche quest' ultimo «cuscino» per una decisione dell' azienda californiana che viola gli accordi sottoscritti (il contratto che li lega alla piattaforma lascia a ogni host la scelta delle politiche di rimborso). Furiosi anche i consiglieri d' amministrazione perché non sono stati informati preventivamente di una mossa così importante.
Il fondatore si scusa con tutti, spera in una ripresa del mercato nella seconda parte dell' anno e punta ancora a portare in Borsa Airbnb prima della fine del 2020, ma ammette di sentirsi «il capitano di una nave la cui fiancata è stata colpita da un siluro». E i risultati si vedono: per superare la bufera l' azienda ha avuto bisogno di prestiti per 2 miliardi di dollari che ha ottenuto con fatica e a condizioni molto onerose prima degli interventi di sostegno del governo: tassi superiori al 10 per cento, in genere praticati alle imprese in forte difficoltà. Secondo il Wall Street Journal alcuni finanziatori avranno la possibilità di convertire il loro credito in azioni ad un prezzo che attribuisce ad Airbnb un valore di 18 miliardi di dollari (rispetto ai 31 della quotazione del 2017 e ai 60-70 attesi per la mancata Opa del 2018).
Più ancora che per gli investitori, sono guai grossi per chi ricavava buona parte del suo reddito dagli affitti via Airbnb. Molti in America hanno industrializzato quello che era nato come un piccolo business della galassia della sharing economy : arrotondare le entrate familiari mettendo un materasso gonfiabile in una stanza poco utilizzata come aveva fatto Chesky 12 anni fa a San Francisco quando tutto cominciò: hanno comprato vari appartamenti e speso altri soldi per ristrutturarli e adattarli agli standard di Airbnb. Ora si ritrovano con entrate azzerate e mutui molto onerosi da rimborsare.
E il problema rischia di non essere solo il momentaneo stop ai viaggi: è tutta l' economia della condivisone fisica di oggetti - il trasporto su Uber, le auto in sharing, gli uffici collettivi in open space di WeWork - che rischia di soffrire se quello delle pandemie diventerà un timore permanente nelle nostre vite. Per i puristi del web è il ritorno allo spirito originario della condivisione intesa come collaborazione entro piccole comunità legate da rapporti fiduciari. Come gli scambi che stanno fiorendo tra vicini di casa in questi giorni di mobilità limitata e negozi chiusi. Non è una consolazione per chi sulla condivisione ha costruito un' economia.