Pierluigi Bonora per “il Giornale”
La parola d'ordine è una sola: mantenere l'indipendenza del magazine. E gli azionisti di peso de L'Economist, nel cui palazzo londinese di St. James's Street c'è la sede fiscale di Fiat Chrysler Automobiles, non intendono muovere una virgola nella governance che, dagli anni '20 del secolo scorso, regola la vita del settimanale: l'impedimento, cioè, al singolo soggetto o società che sia, al suo controllo.
LA COPERTINA DELL ECONOMIST CONTRO LA FRANCIA DI HOLLANDE
Le famiglie maggiori azioniste (Rothschild con il 21%, Elkann-Agnelli tramite Exor con il 4,7%, Bruno Schroder al 2% e, con l'1% a testa, alcuni membri di casa Cadbury, i «Ferrero» inglesi, oltre ad altri rappresentanti dell'aristocrazia britannica con quote minori) vantano, all'interno del cda, maggiori diritti rispetto al gruppo Pearson, titolare di azioni di serie B, che ha reso disponibile il proprio 50% de L'Economist.
Al di là dell'aspetto etico e affettivo, la pubblicazione (1,6 milioni di copie distribuite alla fine del 2014) è anche un buon affare, visto che assicura dividendi ai suoi azionisti. Ecco allora le quattro famiglie, tra le più potenti del capitalismo mondiale, sedersi al tavolo e discutere sul destino della quota in mano a Pearson.
La trattativa non sarà facile e dovrà rispettare tutta una serie di equilibri e campanilismi. Non è dunque un caso che alla mossa del presidente di Exor, John Elkann, di voler crescere nell'azionariato, la famiglia Rothschild, tra l'altro legata da sempre con gli Agnelli («sia l'Avvocato sia il fratello Umberto avevano un rapporto molto stretto», dice chi ha vissuto quei momenti), dovrà dare una sua valutazione.
Ma gli anni passano e cambiano le figure centrali nelle grandi famiglie. E, fatto salvo la stima, i buoni rapporti e la dichiarata intenzione di Exor di restare sotto il 50%, ai Rothschild interessa prima di tutto mantenere il ruolo di custodi della grande tradizione giornalistica e dell'indipendenza de L'Economist. Di certo, i Rothschild avranno assistito, attraverso i media, alla dura battaglia, tracimata in aspre polemiche, che ha visto il gruppo Fca, di cui Elkann è presidente e azionista con Exor, impegnato a mantenere la presa sul Corriere della Sera.
A Londra la storia è diversa, ma il confronto è solo all'inizio. Un osso duro per i negoziatori italiani potrebbe essere rappresentato da Lynn Forester de Rothschild, 61 anni, americana del New Jersey («la nostra famiglia resterà azionista de L'Economist per tutto il tempo che io sarò viva», una delle sue recenti affermazioni), che nel 2011 non si fece problemi a descrivere il presidente Barack Obama, «un perdente che non ascolta le persone che potrebbero aiutarlo».
Lady de Rothschild, come viene chiamata, è direttore generale di EL Rothschild, holding che possiede con il suo terzo marito, Sir Evelyn Robert de Rothschild. La società gestisce, tra i vari asset, gli investimenti in The Economist Group, proprietario di The Economist. Inoltre, Lynn è presente nei cda di grossi gruppi multinazionali.
Elkann, da parte sua, sta rapidamente ridisegnando l'impero della più conosciuta dinastia industriale italiana. L'ultimo colpo riguarda l'acquisizione per 6,9 miliardi di dollari del colosso delle riassicurazioni ParnerRe. «Noi ci consideriamo davvero dei business builder», ha spiegato in un'intervista al New York Times, aggiungendo che per Exor l'attenzione resta focalizzata su altre possibili opportunità di investimento e crescita. E ora tocca a L'Economist: potrebbe essere una passeggiata, sempre se riuscirà a mantenere l'equilibrio.