Federico Fubini per il Corriere della Sera
Wolfgang Münchau, il commentatore sull' Europa i cui interventi appaiono ogni domenica sera sul Financial Times , stavolta non è stato evasivo. Da tempo è convinto che l' assetto dell' euro sia insostenibile, se Italia e Germania non trovano un compromesso di fondo su come far convivere due economie così profondamente diverse entro la stessa unione monetaria. E questa volta il giornalista tedesco, che da anni vive a Oxford, si è concentrato sul referendum costituzionale del 4 dicembre come possibile evento che rischia di far esplodere le contraddizioni e la tensione accumulata da tempo.
renzi referendum costituzionale
«Il referendum conta perché potrebbe accelerare il cammino (dell' Italia, ndr) verso l' uscita dall' euro - scrive Münchau -. Se il premier Matteo Renzi perde, ha detto che si sarebbe dimesso, innescando il caos politico. Gli investitori potrebbero concluderne che i giochi sono fatti. Il 5 dicembre, l' Europa potrebbe svegliarsi di fronte alla minaccia immediata della disintegrazione».
Per il commentatore la causa profonda di una rottura sarebbe duplice: il rifiuto dell' Italia di adattare le proprie strutture sociali e produttive alla realtà dell' euro, e quello della Germania di dotare la moneta unica delle istituzioni e garanzie comuni di un' area monetaria.
Dunque la cancelliera Angela Merkel potrebbe offrire concessioni, di fronte al rischio di un collasso dell' euro, ma solo dopo una sua rielezione nell' autunno dell' anno prossimo. Il problema degli investitori è più vicino: cosa accade sui mercati nelle poche settimane dopo il 4 dicembre, specie se si confermasse nelle urne il vantaggio che il No ha nei sondaggi.
In questi giorni anche il Wall Street Journal ha sottolineato questo dilemma, come hanno fatto le processioni di gestori dei grandi fondi d' investimento portati a Roma dalle principali banche d' affari. I meno preparati sull' Italia si riconoscono dalla loro prima domanda: vogliono sapere se una sconfitta di Renzi nel referendum aprirebbe le porte a un secondo referendum, questa volta sull' uscita del Paese dall' euro dopo un arrivo di M5S al governo. Molti investitori stanno capendo solo in questi giorni che una successione di eventi del genere, quantomeno, non è automatica e implicherebbe vari passaggi politici e istituzionali niente affatto scontati.
Non dev' essere per questo però che nell' ultimo mese il rendimento dei titoli di Stato italiani a dieci anni ha perso altri 21 punti-base (0,21%) sugli omologhi spagnoli, ed oggi pagano quasi 50 punti di più. Né è per questo che lo spread - o scarto di rendimento fra titoli decennali italiani e tedeschi - è tornato a 179, ai massimi dal primo trimestre del governo Renzi. In parte, i mercati del debito hanno già incorporato nei prezzi una vittoria del No e la caduta del governo. Se vincesse il Sì potrebbero dunque rimbalzare con forza (e così le quotazioni delle banche italiane in Borsa).
Per ora però i future «five-year/five-year forward», strumenti che cercano di stimare dove potrebbero essere fra cinque anni le attese dei rendimenti del debito nel 2016, indicano già un' esplosione dei tassi italiani al 3,5%. Si tratta di sintomi simili a quelli che erano emersi nel 2011. Se lo spread sulla Germania toccasse quota 200, lo stato febbrile sarebbe evidente e pericoloso.
protesta dei risparmiatori davanti a bankitalia 4
Oggi però gli investitori più sofisticati esprimono soprattutto una domanda: vogliono avere un' idea della qualità negli assetti politici dopo il 4 dicembre, poco importa che vinca il Sì o il No. Se dovesse emergere un governo concentrato solo sulla legge elettorale e le prossime politiche, l' Italia resterebbe oggetto di dubbi profondi in ogni caso. I creditori chiedono di vedere un Parlamento al lavoro, impegnato per rendere l' Italia in grado di sostenere i suoi debiti. E vogliono vedere l' avvio di una soluzione della crisi bancaria aperta da tempo. Chiunque vinca il referendum, ormai il mercato non accetterà più qualcosa meno di questo.