Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”
martin winterkorn amministratore delegato volkswagen
La svolta è stata annunciata la scorsa settimana da Sally Yates, vice procuratore generale degli Stati Uniti: d' ora in poi, è stato il succo del suo discorso, il nostro obiettivo principale non sarà multare le aziende che hanno commesso reati (cosa che continueremo a fare, ha subito aggiunto), bensì andare a colpire, sia dal punto civile che penale, i responsabili dei reati.
Per questo motivo non ci basterà che Volkswagen così come hanno già detto i vertici, prometta di collaborare con gli inquirenti. Vogliamo i nomi dei responsabili, tutti i nomi e le prove per incriminarli.
L' ultimatum della giustizia americana sta già producendo i primi effetti. Ieri, nel giorno delle prime contestazioni giudiziarie a Martin Winterkorn, già indiscusso numero uno del gruppo, la casa di Wolfsburg ha deciso le prime sospensioni: Wolfgang Hatz, responsabile Ricerca & Sviluppo di Porsche; Ulrich Hackenberg, padre del sistema produttivo modulare; e Heinz-Jakob Neusser, responsabile Ricerca & Sviluppo del brand Volkswagen. Per la prima volta, insomma, cadono le teste dei manager che, per dirla in termini militari, altro non hanno fatto che "eseguire gli ordini".
catena di montaggio volkswagen
Per carità, a partire da Angela Merkel le autorità tedesche - così come i vertici della Comunità Europea - si stanno impegnando per dimostrare, con improvviso zelo, tolleranza zero nei confronti dello scandalo del diesel. Ma troppe prove dimostrano che sia Berlino che Bruxelles erano a conoscenza dei metodi usati da Volkswagen, troppo potente ed agguerrita per chinare il capo di fronte ai regolatori di casa. Come era già avvenuto, del resto, per altri campioni della corazzata tedesca.
«La Bafin, il regolatore della finanza tedesca - ricorda Stefano Micossi, presidente dell' Assonime, - non ha visto per anni le pratiche aggressive di Deutsche Bank sul calcolo del capitale, né l' applicazione deboluccia delle regole sulla prevenzione delle crisi bancarie; ma la banca tedesca ha dovuto accettare gli standard americani per operare su quel mercato». Dopo aver pagato salate multe, assieme ad altri big europei, per le infrazioni commesse sul mercato dei cambi o del Libor.
Insomma, il sistema Germania mostra crepe inaspettate. Lo dimostra il rapido voltafaccia di Angela Merkel sulla questione dei migranti: nel giro di una settimana si è passati dalle braccia aperte verso i profughi alla sospensione di Schengen. Ma non è meno significativo il gran pasticcio della politica energetica: la Germania, per motivi elettorali, ha decretato la fine del nucleare tedesco nel 2020. Il risultato? Un massiccio ricorso al carbone, gabellato come energia pulita (al pari del diesel pulito). Lasciando però aperto il capitolo più doloroso: chi pagherà lo smantellamento delle centrali? Non è partita da poco, visto che il costo potrebbe sfiorare i 50 miliardi - mentre E.on e Rwe, le due società elettriche che dovrebbero farsi carico el problema, valgono in Borsa 22 miliardi.
Inevitabile un compromesso, su cui l' Europa, in base alle norme volute proprio da Berlino (per gli altri), potrebbe avere da eccepire.
Insomma, Volkswagen ma non solo. Scricchiola il modello tedesco, anzi europeo, basato su regole, autorizzazioni e prescrizioni delle Autorità che hanno poi il compito di farle rispettare.
L' uso "partigiano" dei regolamenti allo sfacciato servizio dell' industria tedesca, di gran lunga la più potente in termini di lobby, ha fortemente indebolito il Vecchio Continente. Il risultato? «Gli Stati Uniti stanno assumendo un ruolo esplicito di super regolatore mondiale», scrive Micossi. Le conseguenze non si faranno attendere. I rapporti di forza nel negoziato transatlantico (Ttip) si sono ribaltati.
L' Europa, finora, ha vantato la superiorità del suo sistema di regole che garantisce ai cittadini, tra l' altro, la sicurezza alimentare, il diritto alla salute e la tutela ambientale. Lo scandalo Volkswagen ha però messo a serio rischio il modello del Vecchio Continente. Davvero può ispirare fiducia un sistema che dipende da burocrazie il più delle volte assai più deboli delle aziende controllate?
Non è forse più efficace il sistema statunitense, cioè meno regole preventive ma controlli severi a posteriori? E, non meno importanti, l' uso di arbitri per le controversie in luogo delle leggi nazionali?
Ecco, in questo senso lo scandalo Volkswagen ha portato acqua al mulino americano. Anzi, non è escluso che Washington, a questo punto, non decida di chiudere prima il negoziato con l' Asia (il Tpa) per poi imporre un accordo simile all' Europa che, pena l' isolamento, dovrà chinare il capo. E magari subire il rischio che nei supermercati arrivino i prosciutti industriali del Nord Dakota (alimentati con le proteine dello shale gas) o la mozzarella del Midwest. Tutto per colpa degli inghippi di Volkswagen.