mcdonald si lucida le scarpe nel bronx
Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”
La carne di Mc Donald's ha i vermi?». È una delle domande shock che ricorrono in una delle ultime campagne pubblicitarie del Big Mac, 36 mila fast food diffusi in cinque Continenti, per frenare l'emorragia di clienti. Ma lo slogan non ha salvato la carriera di Don Thompson, il primo ceo di colore del gigante degli hamburger, esautorato ieri senza troppi complimenti dopo la caduta delle vendite, per il secondo anno di fila.
Ma se nel 2013 si poteva accusare la recessione per il calo (-1,6% di clienti), nel 2014 l’emorragia ha preso velocità: -4,1%, nonostante la ripresa dell’occupazione, e di riflesso dei consumi in Usa. E così, per aver fallito l'obiettivo di rilanciare la Mc Family, dopo due anni e mezzo Thompson è stato accompagnato alla porta. Non preoccupatevi per lui: nel 2012 ha incassato tra premi, bonus, stock options e stipendio (l'unico tassato con aliquote "all'italiana") 13,8 milioni di dollari.
Un po' troppo per gli azionisti, per lo più fondi di investimento che hanno imposto un taglio a 9,8 milioni l'anno passato. Anche così l'ex re del Big Mac ha guadagnato più di 600 dipendenti messi assieme. Ora la patata bollente passa nelle mani di Steve Easterbrook, già responsabile del brand. Una scelta che lascia perplessi gli analisti perché Mc Donald’s avrebbe avuto bisogno di un brusco shock, non di una staffetta nella continuità.
A perder colpi, infatti, non è l'hamburger, bensì il Big Mac, azzoppato dalla concorrenza e dalla pessima fama che accompagna, a torto o a ragione, la qualità dei suoi prodotti. Senza vermi ma azzoppati dai Nas cinesi che hanno scoperto prodotti di scarto a Pechino. Intanto Wall Street fa la fila per l’offerta di Shake Shock, catena che garantisce cibi freschi e carne di prateria.
«Con tutto il rispetto per la pizza - si legge nel prospetto d'offerta - ma il cibo più diffuso resta un buon hamburgher: 135 miliardi di dollari di fatturato in un anno contro 75 miliardi per la pizza». A mettere in ginocchio Mc Donald's, cui ha dato il colpo di grazia la rivalutazione del dollaro che ha compresso i profitti fuori Usa, è il successo di Chipotle e di Panera, due catene che, per pochi spiccioli in più, offrono la possibilità di servirsi da soli in locali più accoglienti e con una maggior varietà.
Insomma, la legge della concorrenza ha colpito ancora, incrinando una leadership mondiale che sembrava inattaccabile. Al contrario, nemmeno l'offerta del Menù da un dollaro ha permesso di rispondere alla concorrenza di Burger King, oggi fusa con la canadese Tim Horton che ha consentito alla società di espandersi a caffè, biscotti e ciambelle.
A decretare l'eclissi di Mc Donald's, oltre agli errori aziendali, è stata l'evoluzione dei gusti, un trend che potrebbe rivelarsi decisivo per il palcoscenico dell'Expo. Non è una bella notizia per un altro gigante americano: Coca Cola. In attesa dei conti 2014 il re delle bevande gassate ha accusato un utile in contrazione del 14% e annunciato nuove misure per ridurre i costi. A partire dallo stipendio del ceo Muhtar Kent: 30,3 milioni di dollari nel 2012, "solo" 20,4 milioni un anno fa. Assai meno, promettono i fondi e Warren Buffett, l'azionista numero uno. «Non ho mai votato contro un bilancio di Coca Cola - ha scritto -non vorrei cominciare ora».