Giuliano Aluffi per “il Venerdì - la Repubblica”
A guardare gli scaffali di una qualsiasi libreria, qualche dubbio viene. Ma come mai in tempi in cui la vendita non brillano, si stampano così tanti libri? Alcuni dei quali si fa fatica a capire quale mercato possano avere? Per rispondere a questa domanda si deve partire dai dati e, poi, dare voce agli esperti del settore.
In Italia nel 2015 sono usciti più titoli che nel 2014 (da 61.882 nuovi titoli cartacei siamo passati a 62.250, ovvero 0,6 per cento in più) e per la prima volta, secondo dati GFK, il numero complessivo di titoli in commercio e non fuori catalogo ha superato il milione. Inoltre, per la prima volta dal 2012, le vendite tornano ad avere un timidissimo segno più (0,7 per cento nel mercato trade, ossia narrativa, saggistica e varia). E si torna così alla domanda: perché il numero di titoli aumenta anche quando il mercato non è florido?
«L’editoria italiana esce oggi da tre anni di caduta continua delle vendite e può sembrare contraddittorio che si voglia aumentare l’offerta. La spiegazione ha a che fare con i meccanismi contabili» spiega Claudia Tarolo, coproprietaria di Marcos y Marcos. «Gli editori mettono sul mercato dei titoli che possono tornare indietro come resa. Abbiamo un momento di segno positivo in cui i libri escono in libreria e vengono fatturati.
E un momento in cui il nostro flusso finanziario subisce un segno negativo quando le copie tornano indietro. Per contrastare questo flusso negativo, gli editori tendono a mettere in cantiere ancora più titoli in modo da avere un temporaneo effetto positivo che contrasti il flusso negativo delle rese. È un meccanismo un po’ perverso, come quando per ripagare dei debiti se ne fanno di ancora più grandi».
A Luigi Spagnol, amministratore delegato del gruppo Gems, questi «trucchetti» non piacciono: «Aumentare titoli per mantenere il fatturato è una soluzione antieconomica. Però, certo, ci sono dei momenti in cui se i titoli non vendono abbastanza, si può essere costretti a farlo» osserva Spagnol.
«Io credo però che l’offerta di titoli sia guidata soprattutto dal fatto che l’editoria è un lavoro molto sperimentale e tra le forme di intrattenimento è quella meno costosa: pubblicare un libro costa molto meno che produrre un film o un videogioco, e quindi si possono fare più esperimenti pubblicando più titoli. L’editoria italiana non fa ricerche di mercato: preferisce fare esperimenti. Quando qualcuno invita a pubblicare meno titoli, paventando eccessivo affollamento in libreria, io rispondo che se facessimo meno titoli rischieremmo di tagliare titoli che poi hanno successo.
Ad esempio: in questo momento il mio maggior successo è Il magico potere del riordino di Marie Kondo, un libro su cui pochi avrebbero scommesso». La tecnologia, del resto, oggi favorisce chi vuole sperimentare: «Una volta l’editore sapeva che il libro non aveva avuto successo il 31 dicembre, quando il libraio chiudeva il conto della libreria e faceva il reso.
Oggi invece l’editore, alla chiusura serale delle librerie, sa quante copie dei suoi libri ha venduto in ogni libreria e area geografica. Così può pianificare ristampe molto rapidamente – oggi in soli 10 giorni si mette in libreria una nuova tiratura - se un libro incontra il favore dei lettori, o spostare copie per portarle nelle librerie dove quel libro è più richiesto» spiega Giovanni Peresson, responsabile dell’Ufficio Studi dell’Associazione italiana editori.
Un altro fattore che contribuisce a pubblicare più titoli sono le sovvenzioni alla traduzione da parte di quei Paesi più attivi nel promuovere la loro cultura all’estero: «Certo queste sovvenzioni non sono così alte da spingere a pubblicare un libro in cui non si crede solo per ottenerle. Ma sono un aiuto utile per i libri lunghi» spiega Claudia Tarolo.
«La traduzione di un libro di 500 pagine (il costo medio delle traduzioni è 15-20 euro a cartella ndr) per un editore è un costo alto: il finanziamento ti fa fare dei libri che altrimenti non faresti perché la spesa sarebbe al di sopra delle possibilità finanziarie. Noi, ad esempio, abbiamo pubblicato due libri turchi di 500 pagine, e senza un aiuto non avremmo potuto farlo».
Alla moltiplicazione dei titoli concorre la nascita di nuovi piccoli editori. «Oggi le barriere d’ingresso al mondo dell’editoria sono molto basse. Basta un biglietto di andata e ritorno per la Fiera di Francoforte, incontrare i vari editori e lei può creare una casa editrice nella cucina di casa. Una volta bisognava stampare almeno 1.000 copie, oggi con la stampa digitale ne può stampare solo 300 con qualche migliaio di euro e pubblicare un titolo che entra nelle nostre statistiche» osserva Peresson.
«Delle 4.604 case editrici attive in Italia, ben il 74 per cento sono piccolissimi editori che pubblicano meno di 9 titoli all’anno». Il loro problema non è tanto «nascere» o «esserci», ma farsi trovare sugli scaffali – sempre più affollati - delle librerie. Difficile finire in quelli delle grandi catene, per questo la rinascita delle librerie indipendenti può dare a tutti qualche speranza in più.