Ferruccio Sansa per il "Fatto quotidiano"
Andrea AgnelliChissà da dove ci guarda l'Avvocato. C'è la questione del cammello nella cruna dell'ago. Chissà se vede la sua famiglia toccata dal virus di questi anni: il berlusconismo. Le parole di Andrea Agnelli, quel "sistema dittatoriale" rivolto ai giudici sportivi, ne rivelano una forma galoppante. L'Avvocato, che pure si era trovato i giudici alle porte, non l'avrebbe mai detto. Mai. Vero, lui che trasudava fastidio per il Cavaliere aveva infine compiuto il grande inchino. Ma il gesto gli era stato perdonato, avvolto nella luce del tramonto. Ora è diverso, l'homo berlusconianus vive a villa Frescot.
ANDREA AGNELLI E JOHN ELKANNPure Sergio Marchionne pare contagiato. Quel maglione nero quattro stagioni, all'apparenza tanto diverso dal doppiopetto con cravatta Marinella del Cavaliere, risponde alla stessa logica: la divisa per creare un simbolo. E non sono neanche le battaglie contro i giudici per Pomigliano ad aver berlusconizzato Marchionne. No. Piuttosto è il ricorso alla politica degli annunci.
Se ti trovi con le spalle al muro, spariglia . O, come dicono i critici, buttala in caciara. Ipotizza trasferimenti in America, chiusure di stabilimenti. Annuncia nuovi modelli poi spariti nel nulla oppure miliardi per Fabbrica Italia. Berlusconi docet. Poi c'è Lapo - in Famiglia considerato una delle menti più acute - che ti molla il suv sui binari del tram che "i milanesi ancor s'incazzano". Una manovra tanto berlusconiana. Gianni non l'avrebbe mai fatto, era una categoria a parte. Oltre l'arroganza. Oltre le regole.
Ma forse l'Avvocato soffrirebbe anche di più vedendo la Fiat, perfino la Juve, guardate con antipatia. Sì, proprio la Juve, che resta la squadra simbolo d'Italia, con una tifoseria sterminata, dal Po al Belice. Certo, ci sono gli scandali, gli Scudetti cancellati. Ma in questa Italia non sono un demerito. Il punto è che l'Avvocato era il re di un Paese bisognoso di sovrani. Se lo Stato era il padre, la Fiat era la madre.
SERGIO MARCHIONNEPerfino le sue auto somigliavano agli italiani: fantasiose, scattanti, ma un po' incostanti negli anni, con la ruggine che si mangiava la carrozzeria. Proprio come le virtù italiche che non resistono alla prova del tempo. Italia, Fiat e Juve unite nella buona e nella cattiva sorte. Ma ora basta: gli Agnelli-Elkann-Marchionne sono diventati internazionali, è bastata l'autocertificazione. Di italiano resta un tricolore sulla felpa. Dallo scudetto Fiat (Fabbrica Italiana Automobili Torino) rischiano di sparire la "i" e la "t". Ma anche la "F" e la "a" traballano.
Da Torino, anzi Auburn Hills, sembrano far capire che l'Italia - pur prodiga in passato di finanziamenti - sia ferma al Giurassico. Avranno pur qualche ragione, ma gli italiani sono legati ai propri difetti e non sopportano chi glieli ricorda. Soprattutto se, magari, li condivide con loro.
Andrea Agnelli e John ElkannL'Avvocato godeva di immunità (che proteggono i potenti, ma anche i sudditi dal dubbio) da fare invidia al Quirinale. Ogni sua frase diventava aforisma (anche se a rileggerle adesso, senza la famosa "r", viene qualche dubbio). Nessuno fiatava ai suoi attestati di stima per soggetti come Henry Kissinger e George W. Bush.
Lapo e John Elann con Sergio Marchionne a GinevraOggi, senza re, la dinastia ha perso i privilegi. Certo, per gli ex sovrani è difficile sottostare alle decisioni di anonimi burocrati: i magistrati. Intanto i sudditi si sentono orfani. Dopo la politica e la Chiesa anche gli Agnelli ci lasciano. Dissolto il velo della soggezione - insondabile miscuglio di invidia e ammirazione - l'abbandono diventa rabbia. Per la Fiat, perfino per la Juve. E davanti alla foto di Lapo, vestito tipo domatore di leoni, ti assale un dubbio: sarà pure un maestro di stile, ma ricorda tanto quei ragazzi di borgata alla festa brasiliana di Capannelle.