Andrea Greco per la Repubblica
Vince il favorito: la Amundi guidata da Yves Perrier, sempre più signore del risparmio europeo. Da subito era parso il compratore doc di Pioneer da Unicredit: perché disposto a pagare di più grazie ad alte sinergie industriali - annunciate in 180 milioni ieri - e perché in grande sintonia con il neo ad della banca italiana Jean Pierre Mustier, con cui anni fa creò il colosso Amundi unendo le gestioni di Credit Agricole e SocGen.
Una settimana di trattativa esclusiva tra i due manager è bastata, né la caduta di Matteo Renzi, sponsor della cordata nazionale Poste-Cdp-Anima, ha aiutato gli italiani a ribaltare il tavolo e tenere autoctoni i 222 miliardi (per metà di famiglie italiane) gestiti dal marchio nato negli Usa un secolo fa. Si diceva che Poste avrebbe pagato sui 3,4 miliardi. Amundi ne sborsa 3,54, in realtà 3,9 contando i 315 milioni di cedola che Pioneer retrocederà a Unicredit prima di chiudere l’operazione. Fanno 19 volte gli utili stimati 2018, un bel pagare anche se Perrier dice: «Il prezzo ci soddisfa ampiamente».
Tutti contenti, almeno i francesi. Contento l’ad di Amundi, che si rafforza come leader continentale nel settore e in 18 mesi sfiorerà i 1.300 miliardi di masse: «Abbiamo esperienza di integrazioni, questa è facile anche se ci vorrà più dei 12 mesi di lavoro con SocGen perché sono in ballo più paesi. Comunque ci lavoriamo da domattina, io e l’ad di Pioneer Giordano Lombardo»; il futuro del management italiano è tutto da capire, ad ogni modo. Contento Mustier, che incassa una plusvalenza di 2,2 miliardi rafforzando il patrimonio Cet1 di 78 punti base, e dietro le quinte ha fiducia di poter comunque guadagnare di più da Pioneer grazie agli accordi strategici siglati ieri sulle reti di Italia, Austria e Germania.
Oggi, a Londra Mustier presenta l’atteso piano strategico Unicredit e forse darà dettagli in più sul fronte della banca italo-tedesca, che giorni fa ha venduto anche Pekao per 2,4 miliardi ai polacchi, e comunque annuncerà una ricapitalizzazione sul mercato di circa 13 miliardi. Contenti gli investitori, che ieri hanno gradito i numeri dell’operazione: ritorno sull’investimento del 10% entro tre anni, almeno due terzi degli utili erogati in dividendi (nel 2015 il dato aggregato è 755 milioni), e di cui la gran parte andrà all’Agricole, socio forte che manterrà almeno il 66,7% anche dopo l’aumento da 1,4 miliardi con cui Amundi finanzierà l’operazione.
E gli italiani, contenti anche loro dell’ennesima bandierina francese? Non è detto che il futuro sarà il miele che prevede il presidente di Amundi Xavier Musca, che in italiano ha detto: «Ieri ci siamo sposati con Unicredit e l’Italia, il fatto che gestiremo oltre 100 miliardi delle famiglie italiane è già un voto di fiducia».
Anche i tagli di costi, da cui arrivano quasi tutti i risparmi , sembrano girare al largo: Amundi stima 450 esuberi, tutti all’estero, mentre i 300 dipendenti Pioneer a Milano sono visti raddoppiare. Per ora nemmeno il portafoglio Btp, che sommando ai 50 miliardi di Amundi i 30 miliardi di Pioneer fa del polo il primo investitore nel debito italiano, pare in discussione. Ridono meno forse le rivali domestiche Intesa Sanpaolo e Generali, tra cui Amundi-Pioneer si incunea come temuto concorrente.
«Il risparmio italiano non è molto concentrato – ha detto Perrier – credo che il futuro per tutti sia all’insegna del consolidamento, perché i tassi così bassi comprimono i margini. Noi la nostra parte l’abbiamo fatta». Tra l’altro il marchio Pioneer potrebbe sparire: almeno in Europa, dove squilla meno di quello francese; più difficilmente negli States, mercato pregiato dove Amundi quasi non c’era ma da ieri ha un bel biglietto da visita.