VE LO RICORDATE GIAMPIETRO MANENTI? - L'EX PRESIDENTE DEL PARMA, IL PIÙ TRAGICOMICO PERSONAGGIO CHE LA SERIE A DI CALCIO ABBIA MAI AVUTO, HA CHIUSO LA SUA MAPI ITALIA PERCHÉ NON HA VERSATO 1 EURO, UN SOLO EURO DI CAPITALE CHE MANCAVA - UN'ALTRA STORIA DI FINANZA STRAVAGANTE È QUELLA DELLA LEONARDO, UNA SCONOSCIUTA SOCIETÀ DI VARESE CHE IL 7 OTTOBRE HA FATTO CRAC CON UNA VORAGINE FISCALE DA 755 MILIONI DI EURO… - VIDEO

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Mario Gerevini per www.corriere.it

 

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Da un euro a un miliardo. Due storie, molto diverse tra loro, di stravagante finanza. La prima è forse la più piccola operazione societaria del 2021 con protagonista il più tragicomico presidente che la serie A di calcio ricordi, Giampietro Manenti. La sua Mapi Italia chiude perché l’ex presidente del Parma Calcio non ha versato 1 euro, un solo euro di capitale che mancava.

 

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La seconda è la più sospetta operazione miliardaria degli ultimi dodici mesi. Si dipana tra Varese, Biella e il Delaware: al centro c’è la sconosciuta Leonardo Da Vinci spa che ha uno stratosferico capitale da 1,1 miliardi ma un unico socio pressoché nullatenente e un gigantesco debito con il Fisco, 755 milioni, pari a 12,5 euro per ogni italiano, tant’è che l’Agenzia delle Entrate ha da poco chiesto e ottenuto il fallimento della società. E per il 22 febbraio è fissata un’udienza in tribunale dei creditori. Partiamo dalla prima: operazione Mapi.

 

A un euro dalla fine

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«Preso atto — leggiamo dai documenti societari — che il capitale sociale è sceso al di sotto del minimo legale di 1 euro e gli azionisti non hanno ricapitalizzato, dichiaro lo scioglimento della Mapi Italia srl».

 

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Dopo anni di stenti, mai la gioia di una fattura da esibire, un dipendente da assumere o un bilancio da depositare e, insomma, dopo cento mesi di zero affari, alza le mani Paola Crivelli amministratore unico della capofila in Italia del gruppo internazionale di mister Mapi, alias Giampietro Manenti.

 

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Dove per «gruppo internazionale» deve intendersi un ristretto numero di scatole vuote controllate da una holding, Mapi Grup Poslovno Svetovanje, che aveva la sede di rappresentanza nella casa colonica di due anziani contadini della campagna slovena.

 

I progetti di Mapi Channel e Mapi Fashion

Eppure era così anche 7 anni fa quando Manenti, senza trovare alcun ostacolo (Figc-Covisoc, Lega), si presentò sulla ribalta del calcio nazionale, rilevando per un euro (il solito misero euro) il Parma dei trionfi di Tanzi e poi della crisi di Ghirardi. Lo ricordano molto bene i tifosi: servivano soldi subito per evitare il fallimento.

 

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E lui allo Stadio Tardini e nelle conferenze stampa garantiva: «Stanno arrivando», «il bonifico è partito», «c’è un intoppo in Slovenia ma è fatta». Intanto preannunciava la nascita di Mapi Channel, Mapi Fashion e Mapi Energia, indicando conti alla Hsbc, Sberbank, Alfa Bank ecc.

 

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Un mese di fuffa, con il risultato che il presidente da un euro diede l’ultima spintarella al club: fallito e finito tra i dilettanti. E Nullamanenti, com’è stato ribattezzato, chiuse l’avventura passando un paio di settimane a San Vittore con l’accusa di reimpiego di capitali illeciti e indebito utilizzo di carte di credito.

 

Il fenomeno social

A distanza di anni, dopo l’inferno in serie D, la rinascita, i dollari di Kyle Krause e i guantoni di Buffon, il lato “tragico” di quel febbraio-marzo 2015 è sfumato mentre resta limpido, indelebile il lato comico: i video del Manenti presidente sono diventati a distanza di anni un fenomeno social, cliccatissimi (oltre 2 milioni di visualizzazioni su youtube) con migliaia di ironici commenti dell’affollatissima comunità di Mapi-fan.

 

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Ora va mestamente in liquidazione la Mapi Italia, per mancanza di quell’euro che l’ex presidente del Parma nemmeno ravanando nelle tasche di qualche vecchia giacca a vento deve aver trovato.

 

Il fallimento da 755 milioni della Leonardo Da Vinci

Il 7 ottobre ha fatto crac una sconosciuta società di Varese con una voragine fiscale da 755 milioni di euro. Il fallimento è stato chiesto dall’Agenzia dell’Entrate e decretato dal tribunale di Milano. La società si chiama Leonardo da Vinci e — da atti ufficiali — ha un capitale sociale sottoscritto e versato da 1,13 miliardi, come se gestisse un impero internazionale.

 

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Però nessuno la conosce, è un fantasma nell’ecosistema industriale del nord, non si rintracciano clienti, non sembrano esistere fornitori, non ha dipendenti. È una società-zombi che per mischiare le carte cambia sede come fossero fermate di un autobus; è di proprietà di Salvatore Abilone, uno dei tanti prestanome e personaggi borderline, tra commercialisti, amministratori e notai, che hanno accompagnato le gesta della Leonardo.

 

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Quali gesta? La cessione di crediti fiscali. Anzi presunti crediti creati ad hoc con un meccanismo di altrettanto presunta frode fiscale. La triangolazione è con una società partecipata in Algeria (la partecipazione è valorizzata in bilancio per la poco credibile cifra di 433 milioni) e con l’improbabile egiziano Ramadam Hussim Mohamed (574 milioni).

 

La sponda del Delaware

E pochi mesi fa attività per 219 milioni (in gran parte crediti fiscali) sono state acquisite da una società (Event Better) che immediatamente dopo si è fusa con una finanziaria del Delaware, la Phoenix Usa.

 

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Nome d’effetto per una società costituita da una sarta di Settimo Milanese («Mi hanno offerto 300 euro per firmare — ci aveva detto al telefono dal suo piccolo negozio — avevo bisogno di soldi ma non me li hanno ancora dati»).

 

L’Agenzia delle Entrate ha chiesto il fallimento della Leonardo il 16 settembre scorso quando l’azienda però — e questo è l’aspetto un po’ paradossale della vicenda — era ancora nell’orbita di alcuni soggetti finiti nel 2016 al centro di un’inchiesta per una maxi frode fiscale: società “cartiere” e “fantoccio”, «un’organizzazione criminale — raccontano le cronache del tempo — dedita a false fatturazioni che generavano crediti Iva poi ceduti ad aziende terze che li utilizzavano come compensazione».

 

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Come hanno fatto a gestire ancora per anni quella stessa società finita sotto inchiesta? Le accuse, tuttavia, restano da provare: il procedimento penale è avviato e sono pendenti ricorsi in Cassazione sulle materie fiscali più tecniche.

 

Comunque vada, possiamo moderatamente dubitare che il signor prestanome Abilone abbia effettivamente versato nella Leonardo da Vinci 1.136.454.464 euro di capitale sociale (che poi è il minimo garantito ai creditori). E invece per l’altra storia, confidiamo ostinatamente che Giampietro Manenti trovi qualche banca disposta a prestargli l’euro necessario a far sopravvivere la sua Mapi Italia.

 

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