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AVE, CESARONE! PRANDELLI: "IL CT DELLA NAZIONALE? UNA MISSIONE E UNA TORTURA. LA FERITA DEL MONDIALE E’ ANCORA APERTA. PRIMA DEL BRASILE COLLABORAVO CON VARIE ASSOCIAZIONI BENEFICHE, DOPO IL MONDIALE MI HANNO GETTATO VIA: SCONVOLGENTE - DAL GIORNO IN CUI HO DETTO CHE VOTAVO RENZI TUTTO È CAMBIATO. NEL CALCIO MEGLIO ESSERE PARACULI"

 

PRANDELLI 1PRANDELLI 1

Carlos Passerini per il “Corriere della Sera”

 

Se c' è un posto per ricominciare, eccolo: primavera a novembre; la Liga; un club importante; un centro sportivo che sembra un campus, dove i ragazzi si allenano a fianco della prima squadra e nella mensa anche l' allenatore sparecchia la tavola. Qui Cesare Prandelli sta alla grande, anche perché l' Italia è lontana: «Non nutro rancori, ma ora sono felice qui».

 

Dove è stato accolto benissimo.

«Valencia è un città solare, che sa sdrammatizzare. Certo, anche qui il calcio è una passione forte e sono esigenti».

 

Che squadra ha trovato?

«Quando si cambia allenatore qualche problema c' è… È un gruppo giovane, la base tecnica è buona, bisogna dare un' idea di gioco, imparare a verticalizzare. Lo fa pure il Barcellona».

CESARE PRANDELLICESARE PRANDELLI

 

Perché il tiki taka è morto, giusto?

«Nel calcio nulla muore davvero. Dipende dai periodi e dai giocatori che hai. Pensi al falso nueve con Messi o con un altro…».

 

Ma c' è un' identità calcistica spagnola?

«Assolutamente sì: vogliono giocare sempre.

Qui gestire il risultato è una vergogna. A me piace, chiaro, ma si soffre molto di più».

 

Com' è stato restare fuori dai giochi quasi due anni?

«A Firenze stavo benissimo, mi divertivo col trattore in campagna e studiavo calcio due-tre ore al giorno. Novella (la compagna, ndr) diceva che ero diventato insopportabile, sperava che trovassi una squadra... E quando sono tornato in campo mi è parso di non avere mai smesso».

 

prandelli cabriniprandelli cabrini

Da studioso, che cosa le è piaciuto del calcio italiano?

«Si va finalmente verso un calcio propositivo. Ci sono tanti allenatori bravi. Juve, Roma e Napoli fanno bene con tre sistemi differenti: è positivo, la diversità alimenta la crescita».

Milano invece è in grave ritardo.

«È fisiologico. E per ripartire servono basi solide che forse mancano. Parlo di dirigenti ex giocatori che conoscono e trasmettono i valori del club. Ma le milanesi devono tornare protagoniste. Con la Fiorentina potremmo esportare di nuovo sei squadre forti come altre nazioni».

 

Mai avuto tentazioni dirigenziali?

«Da presidente no, men che meno federale. Responsabile di un progetto tecnico invece mi piacerebbe».

 

Primo punto del programma?

ANCELOTTI SPALLETTI CAPELLO PRANDELLI ANCELOTTI SPALLETTI CAPELLO PRANDELLI

«Seminare con forza nei settori giovanili: obbligherei a investire, far giocare i nostri ragazzi, valorizzare il patrimonio. Quando ero io c.t. gli italiani in serie A erano appena il 38%... ».

 

La «sua» Atalanta è il modello ideale?

«Sì. Grazie all' attaccamento ai colori e ai Percassi che hanno giocato nel club. Lì i giovani sono linfa vitale».

 

Anche lei partì da Bergamo per la Juve.

«Il triangolo Torino-Cremona-Bergamo fu la grande intuizione di Boniperti. Quasi un gemellaggio: con Luzzara e Bortolotti bastava una stretta di mano e l' affare era fatto».

 

Che cosa resta di quel calcio?

«La dimensione del campo e i 22 giocatori… Noi, per dire, eravamo merce: ti spedivano dove volevano. E poi una sconfitta non ti faceva dormire per giorni».

 

cassano balotelli prandellicassano balotelli prandelli

Oggi invece i giocatori dormono sereni?

«Mah. Entri in spogliatoio e vedi ognuno nel suo mondo col telefono. Prima eri tu il riferimento tecnico e umano. Ora lo sono procuratori e agenti».

 

Per De Laurentiis il cancro del calcio.

«Ha esagerato. Come in tutte le categorie ci sono quelli perbene e quelli no. Però dovrebbero collaborare di più con tecnici e club nella fase di crescita del calciatore».

 

Ha più sentito Balotelli?

«No. Il nostro rapporto è stato molto forte. Ora lui è ancora arrabbiato con me e lo capisco.

Ma il tecnico deve dire dei no per far maturare un giocatore. Mario deve capire che cosa vuole fare: se la sua priorità è il calcio può diventare ancora uno dei primi cinque al mondo».

 

Ma non è che l' abbiamo sopravvalutato?

«Secondo me no. Il punto è se vuole fare la professione al 100% sempre, non una tantum».

PRANDELLI ABETEPRANDELLI ABETE

 

Italia-Germania con Mario al top e quell' Europeo: fu lì il miglior calcio di Prandelli?

«Pure la Fiorentina non era male. Avevo gente di qualità e cercavo gioco di qualità. All' estero se ne sono accorti e hanno rivisto le vecchie etichette sul nostro calcio».

 

Ma la Spagna in finale era davvero imbattibile?

«Quella partita non l' ho potuta preparare: avevamo fatto trasferimenti lunghi e zero allenamenti, e avevamo subito infortuni. Non ho potuto capire chi era pronto e chi no. L' ho ammesso e mi hanno criticato. Ma comunque loro erano i più forti di tutti».

 

Due anni dopo, il fallimento Mondiale.

prandelli beniniprandelli benini

«Sbagli una partita e crolla il mondo. Ma, come dice Trapattoni, da c.t. sei un condannato a morte che non sa quando gli taglieranno la testa. È una tortura: o vinci il Mondiale, saluti tutti e non torni più, oppure…».

 

Oppure perdi e dai le dimissioni.

«Appunto. Era giusto farlo, anche se altri c.t. non l' hanno mai fatto. A me però hanno detto che sono scappato. Ma scappato da cosa? Non c' era più la presidenza federale, partiva un nuovo ciclo, avevamo fallito, che cosa dovevo fare? Ho lasciato sul tavolo due anni di contratto e quattro milioni».

Parlò di critiche vergognose.

«Confermo. Criticare è giusto, massacrare no. Ma è tipico italiano: ti portano su per buttarti giù».

 

La cosa peggiore di quei giorni?

«Collaboravo con varie associazioni benefiche: dopo il Mondiale mi hanno gettato via, tradito. Umanamente lo trovo sconvolgente».

La ferita sembra ancora aperta.

«E mi farà sempre male. Mi chiedo ancora perché. A volte l' essere umano è folle».

Il suo famoso codice etico suscitò ironie.

prandelli con la chitarraprandelli con la chitarra

«Normale. Ma diciamola tutta: dal giorno in cui ho detto che votavo Renzi tutto è cambiato.

Eppure avevo solo detto ciò che pensavo».

 

Era meglio essere un po' paraculi?

«Ah sì. Il calcio ne è pieno. La prima regola è pararsi, poi vediamo…».

Ma di Renzi è soddisfatto almeno?

«Ho sempre creduto nel suo lavoro. Ora è in un momento particolarmente difficile».

 

Lei entrerebbe mai in politica?

«Me l' hanno chiesto spesso, ma meglio di no. Anche lì bisogna essere un po' paraculi…». Al Galatasaray com' è andata davvero?

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«Si è dimesso il presidente che mi aveva chiamato e i nuovi mi hanno licenziato. Non esonerato. Infatti sono ancora in causa. Ma il calcio è come lo racconti, e mi han dato del bollito».

Brutta etichetta.

«È la vita, prima o poi si stancano di te, ovunque: a voi diranno che scrivete sempre le stesse cose, all' attore che fa sempre lo stesso film, al cantante che canta la stessa canzone…».

Nel calcio c' è sempre meno tempo?

«Nel calcio il famoso progetto inizia il lunedì e finisce la domenica».

Infatti anche i Mourinho piangono.

«Lui è sempre lui, è la squadra non ancora all' altezza. Ha bisogno di tempo, appunto».

 

L' Inter dopo De Boer è stata un' opzione?

«C' erano delle voci, diciamo solo così…».

Ma Suning l' ha contattata?

«Sì, ma solo per la sua squadra cinese. Incontro interessante, con ottime persone. Però decidere di trasferirsi in Cina è complicato».

prandelli 2prandelli 2

 

Che giudizio dà di Conte c.t.?

«È stato una garanzia tecnica e professionale assoluta».

 

E di Ventura?

«Merita il posto. E, come Conte prima, anche lui ha colto la diversità tra club e Nazionale».

 

Perché la Nazionale che cos' è?

«Una missione. E non puoi dirle no anche se non è al centro dei progetti perché c' è una Lega forte che vuole tutelare i propri interessi. Basterebbe che i presidenti pensassero alla Nazionale dieci secondi al mese, invece…».

renzi e prandelli con la bananarenzi e prandelli con la banana

 

Nonostante tutto, lei sorride ancora molto. È solo per questo cielo di Valencia?

«No, è che se riesci a fare del tuo hobby una professione hai fatto bingo nella vita: io sognavo di fare il calciatore e poi l' allenatore. Il successo per me è questo. Poi, ovvio, conquistare un trofeo sarebbe meglio. Ma una cosa va capita: per vincere servono le squadre, altrimenti si fa solo retorica».

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