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WRESTLING, UNA PAGLIACCIATA CHE DICE LA VERITA' - SARA' ANCHE FINTO MA L'UNICA COSA VERA SONO I FANATICI CHE PAGANO: PIÙ DI 100 MILA PERSONE HANNO ASSISTITO ALL’EVENTO DELL’ANNO, ''WRESTLEMANIA'' - DA HULK HOGAN A JOHN CENA, ECCO I SEGRETI DEL WRESTLING - VIDEO!

 

 

 

Luigi Bolognini per “il Venerdì - la Repubblica”

 

wrestling   undertaker contro brock lesnarwrestling undertaker contro brock lesnar

Dallas. Sul volo Londra-Dallas Jonathan e Robert, sui 30 anni, snelli, belli, elegantini, aria da romantici vagabondi, chiacchierano, dormicchiano, bevono cocktail di continuo, guardano film sull’iPad. Tranquillissimi, finché vedono un biglietto di Wrestlemania: «Scusa, come hai fatto a trovarlo? Hai pagato molto?», poi friggono di invidia scoprendo che è un accredito stampa. Loro ci hanno messo due anni di sacrifici e lavoretti per poter festeggiare la luna di miele vedendo il loro sport preferito dal  vivo. Luna di miele, già: sono marito e marito, vivono nei sobborghi di Londra e questa è la loro passione, «e di tre quarti dei passeggeri dell’aereo, penso» sorride Robert.

wrestling wrestling

 

Tutti diretti alla 32esima edizione di Wrestlemania, il mondiale del wrestling, l’evento che conclude la stagione americana dopo una serie di prove nel corso dell’anno trasmesse dalle tv di 35 nazioni, Italia compresa (su Sky). Per questo gli appassionati accorrono da tutti i 50 Stati degli Usa e altrettanti Paesi dei cinque continenti, compresi sparuti italiani. Bilancio: 101.763 spettatori a riempire, pagando in media 170 dollari, un ciclopico stadio coperto ad Arlington, sobborgo di Dallas.

 

Quasi tutti i 101.763 sono ben diversi da Jonathan e Robert, in tutto: età variabile da bambini a nonni, ma mediamente altina, stazza massiccia (diciamo pure una gran massa di obesi da spavento), t-shirt nera di band heavy metal o di energumeni seminudi, o vestiti come i wrestler (c’è chi gira camuffato da unicorno per imitare i suoi idoli, il team New Day), capelli spesso fosforescenti, barba e pelo liberi. Le donne, non poche, sono tatuate come ergastolani, da trattare coi guanti non solo per il galateo ma anche per timore di rappresaglie.

 

wrestling   triple hwrestling triple h

Cibi preferiti: qualunque cosa unta e spugnosa, specie la pizza, accompagnata da bibite gasatissime e dolcissime ma (a crederci) senza zucchero. Idee politiche, se provi a chiedere: Trump lascia perplessi perché troppo liberal, tra i democratici meglio Sanders perché Hillary è troppo rigida sulle armi. Ohibò, siamo a Dallas, dove si vendono come souvenir crocifissi fatti di pallottole e l’attrattiva principale è il palazzo da dove Oswald sparò a Jfk (però allegedly, dice una targa, «presumibilmente»).

wrestling   the rock stone cold steve austinwrestling the rock stone cold steve austin

 

I fan del wrestling sono forse l’unica cosa ancor più incredibile del wrestling stesso, attività che non si sa bene come definire. Sport? Recita? Reality nato prima dei reality? Esaltazione della violenza o in fondo sua negazione? Chiasso? Pagliacciata? «Non si affanni a cercare una risposta. Non c’è, o non ce n’è una sola. Il wrestling è tutto questo e probabilmente anche altro. È entertainment, tanto basta. L’unica certezza è che i match non sono combinati».

 

C’è da crederci, visto che lo dice Paul Heyman, uno dei volti più noti del wrestling americano. Ma non come atleta (lo è stato, ora sale sul ring solo per fare colore): come dirigente e inventore di gimmick. Eccola la parola chiave, gimmick: è l’insieme delle caratteristiche di un wrestler. Non tecniche: quelle del personaggio, cioè il costume, il carattere (si può essere simpatici, antipatici, leali o scorretti), la musica mentre cammina sulla passerella verso il ring, lo stile umano, perché c’è chi si fa gli affari suoi, chi scatena il gossip come un Brad Pitt qualsiasi, e chi lancia polemiche e sfide via tv e internet. Una sceneggiatura di un film che non finisce mai, questa è la gimmick.

wrestling   shawn michaelswrestling shawn michaels

 

E questo è il mondo della Wwe, World Wrestling Entertainment (si noti l’entertainment), azienda quotata a Wall Street, 477 milioni di dollari di fatturato nel 2015, e perciò, con la forza del soldo, la federazione più importante al mondo.

 

Col nome di World Wrestling Federation rese celebre anche da noi questa specie di lotta libera: negli anni Ottanta e Novanta nessun adolescente maschio italiano poteva fare vita sociale senza essersi sparato sulle reti Fininvest ore di combattimenti di idoli come Hulk Hogan, biondone col baffo alla Dennis Hopper, e il forastico Andre The Giant, col commento di Dan Peterson che faceva tanto America, ma quella di Alberto Sordi e «awanagana Kansas City, it’s all right».

wrestling   john cenawrestling john cena

 

Quel wrestling lì è stato uno dei primi veri tuffi dell’Italia provincialotta di allora negli Usa, dopo Dallas e prima di McDonald’s, Nike, partiti politici di plastica, gang metropolitane, internet, tv satellitari. Gente che si menava selvaggiamente con calci e pugni, che usava le corde come fionda per lanciarsi contro l’avversario, che dava il colpo finale salendo sui paletti del ring e piombando sull’altro tipo poiana.

 

Traumi fisici zero, essendo quasi tutto finto: avete mai visto un wrestler sanguinare? Traumi morali nell’Italia d’allora parecchi, coi genitori terrorizzati dall’overdose di violenza. Esattamente come, quando erano ragazzi, facevano inorridire i loro, di genitori, entusiasmandosi per il tuono spaziale, il doppio maglio perforante e la spada diabolica di Goldrake, Jeeg e Mazinga, armi anche più finte. È la cosiddetta sospensione dell’incredulità, ciò che ti fa coinvolgere da una cosa impossibile, ed è così vera nel wrestling che esiste una parola in gergo, kayfabe.

 

wrestling   chris jerichowrestling chris jericho

Che il principio sia questo lo si capisce guardando i bambini che si aggirano ad Arlington e a eventi collaterali come l’Axxess, un centro congressi di Dallas adibito a emporio di costosissimi gadget (320 dollari la riproduzione della corona del vincitore, una patacca di plastica), punto di incontro per autografi di campioni, esposizione di cimeli, statue dei giganti del passato accanto a cui scattarsi foto.

 

«Violenza?» dice Michael Browning, giovane paparino del Wisconsin, «ma no, è un gioco: porterei mai il mio Paul a qualcosa di davvero violento?». Conferma Paul, anni 7: «It’s like a toon», è un cartone animato. Vero, ma vedendo certe scene a Wrestlemania più che ai robottoni giapponesi pensi a Vile Coyote che cade sempre nel canyon, si rompe, e tre secondi dopo non ha più neanche i cerotti e ricomincia. Tipo quando in 6 si contendono la cintura di campione appesa in alto sul ring e va raggiunta con una scala, quindi grandi botte per allontanare tutti e poi una salita che guarda un po’ si ferma sempre al penultimo gradino poi qualcuno rinviene e così via.

wrestling   kane wrestling kane

 

O tipo quando in un match di gruppo irrompe a sorpresa Shaquille O’Neal, 216 cm per 147 kg, che distrugge la sua leggenda del basket facendosi gonfiare come una zampogna in due minuti netti. O tipo, soprattutto, quando Shane McMahon (gimmick: bravo ragazzo un po’ stagionato) cerca di finire il 7 volte campione del mondo Undertaker (gimmick: tra lo zombie e il becchino, look di conseguenza) in questo modo: si arrampica in cima alla gabbia metallica che circonda il ring mentre l’avversario è semisvenuto, prende la mira e gli si butta addosso dall’altezza di 6 metri.

 

match di wrestling match di wrestling

E lo manca clamorosamente, spaccando un tavolo e perdendo i sensi e il match, dato che il morto vivente si rivitalizza. Per mezz’ora si erano dati una fracca di botte con mani e piedi, ma anche con bidoni dell’immondizia e monitor delle postazioni televisive, divelte, coi giornalisti in fuga (in un altro match spunta pure una sega elettrica tipo Non aprite quella porta, ma nessuno fa in tempo a usarla). Botte finte? In gran parte sì, probabile, ma per forza non tutte.

 

Chissà se l’uscita di Shane in barella è stata fatta a favor di telecamera oppure no. Di sicuro non era il match clou della serata, che era quello per il titolo dei Mondiali Pesi Massimi, vinto da Roman Reigns contro Triple H, malgrado l’aiuto sul ring della di lui moglie, Stephanie McMahon. Il cognome dovrebbe dire qualcosa: è sorella di Shane e soprattutto figlia di Vince, padrone della Wve, più che autoritario nella gestione della sua gallina dalle uova d’oro (nel 2015, tra diritti tv, gadget e biglietti 53 milioni di utili).

 

hulk hogan e ultimate warriorhulk hogan e ultimate warrior

E questo spiega anche perché Shane, a quasi 50 anni, è tornato sul ring che aveva mollato: era stufo di non gestire nulla. E due mesi prima di Wrestlemania aveva intimato in diretta tv al babbo di passargli la mano. Vince ci era stato, ma alle sue condizioni: «Sfida Undertaker. Se vinci ti darò il controllo di Raw (lo spettacolo tv del lunedì, il più popolare). Se perdi, mi prendo io i tuoi soldi».

 

Film? Reality? Verità? Il dubbio è quello anche qui, pensando che Vince è un tipino capace di inscenare la morte facendo esplodere la propria limousine solo per sparire un po’ dalle scene, e di sfidare nel 2007, ma per interposto wrestler, Donald Trump (quello). Lì il vincitore avrebbe rasato a zero il perdente. Pensate quanto sarebbe cambiata anche la campagna elettorale di adesso.

 

wrestling   brock lesnar contro dean ambrosewrestling brock lesnar contro dean ambrose

Ma trionfò il rappresentante di Trump, quindi la politica Usa ha preso un’altra direzione. Vero o falso che sia, Shane sul palco le prende, ma senza arrendersi fino all’ultimo, mentre sui maxischermi dello stadio (e in tv) alle scene di lotta si alternavano i visi disperati dei suoi figli. Uscito in barella, il giorno dopo è già in piedi e davanti alle telecamere di Raw, dove ammette la sconfitta e si ritira. Salvo il colpo di scena finale: Vince per dimostrare che il figlio non sa gestire la baracca, lo mette alla prova e gliela molla seduta stante. Quale sceneggiatore saprebbe scrivere una cosa così?

 

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Ci crediate o no che sia uno sport, il wrestling dal vivo è coinvolgente e divertentissimo. E istruttivo. Basta una sola volta (e magari solo quella, ecco) per capire due cose. Anzitutto che la vita, in fondo, è l’arte di schivare o assorbire botte e poi rialzarsi. E poi, com’è fatta l’America, quella vera. Un Paese, non dimentichiamolo, che tra i padri fondatori non ha avuto solo Lincoln e Washington, ma anche Phineas Taylor Barnum. Quello del circo.

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