roger federer

TENNIS BY DOTTO - COSA CI SPINGE AD ADORARE ROGER FEDERER, BEN AL DI LÀ DEI SUOI EXPLOIT SPORTIVI? AL DI LÀ, PERSINO, DEL MISTERO, DI UNO CHE TORNA DALL’OLTRETOMBA, A 36 ANNI, NON SOLO VINCENDO, E GIÀ SAREBBE MIRACOLO, MA GIOCANDO UN TENNIS MIGLIORE DEI SUOI ANNI MIGLIORI? LA RISPOSTA È SEMPLICE. DOVE “GIOCA” ROGER NON C’È SPAZIO PER I CATTIVI PENSIERI E LA BRUTA MATERIA...

roger federerroger federer

Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia

 

Nel giorno della sua ottava sinfonia sull’erba, cinque anni dopo l’ultima, senza mai perdere un set (l’impresa più grande), cosa fa Roger Federer, l’uomo, si fa per dire, che ha costretto i suoi simili a interrogarsi sull’infinitezza del suo talento e sulla finitezza degli aggettivi che dovrebbero raccontarlo? Incapace di sudare, si scioglie in lacrime nel vedere i suoi quattro gemelli in tribuna, sparsi tra Mirka e le nonne, i maschi gemellati anche nel ficcarsi le dita nel naso e nel non capire dove sono capitati e di quale papà divino gli sia capitato in sorte.  

 

roger federer e marin cilicroger federer e marin cilic

Un’ora prima circa, per altre ragioni, era scoppiato in lacrime Marin Cilic. Fin lì martellante ai limiti della blasfemia e giocando molto aggressivo, come se in Croazia non avessero stampato il copione già scritto di giornata, veniva punito dallo Zoroastro di Wimbledon che gli piantava non so quale fantomatica vescica nella pianta del piede, rimettendo così a posto le cose. La menomazione, in quanto meno azione, toglieva di mezzo l’intruso è la sua assurda velleità di guastare la festa.

GIANCARLO DOTTOGIANCARLO DOTTO

 

Mentre ora tutti stanno lì a piangere, a celebrare e a ficcarsi le dita nel naso e nel cranio a cercare caccole e aggettivi inutili, è arrivato il momento di carpire finalmente ciò che non puoi capire.

 

roger federer roger federer

Nel giorno in cui Roger Federer, tennista maschio, mezzo svizzero, mezzo sudafricano, dato per estinto più volte, l’ultima, dodici mesi fa sulla stessa erba, sotto i colpi di Raonic, mette insieme l’impresa irriferibile. Carpire cosa tiene insieme tutti questi umani così diversi tra loro, ai piedi dello stesso monumento, ben al di là del tennis e dei record?

 

Geniacci anarcoidi come David Foster Wallace (che anche con il suo nodo scorsoio al collo non la smette di gettare un occhio) e John McEnroe gli dedicano poemi in versi e versacci. Il mio amico, il taciturno carrozziere di Tarquinia, Stefano, solo esclamazioni primordiali e occhi che brillano.

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Dal regale principe William allo stralunato Gene Gnocchi, l’oste bestemmiatore di Pisa e madama la marchesa di Estoril. Ragazzi appena venuti al mondo e il repulsivo Giampiero Mughini, uno che dal mondo si distanzia volentieri? Il mitologico Rod Laver e il nessuno no name che sta lì adorante a passargli l’asciugamano per un sudore che non suda.

 

Tutti insieme, uomini e donne, cinesi, italiani, peruviani ed esquimesi. Tutti amano Roger, Rapiti. Sequestrati. Ammaliati e ammutoliti. Da cosa? Dalla “violenza” della bellezza che esce da ogni gesto, da ogni poro del suo tennis. Ti basta che sia acceso uno solo dei cinque sensi e non hai scampo con Roger. Sei suo.

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Cosa ci spinge ad adorare quest’uomo ben al di là dei suoi exploit sportivi? Al di là, persino, del mistero, questo si irragionevole, di uno che torna dall’oltretomba, a 36 anni, non solo vincendo, e già sarebbe miracolo, ma giocando un tennis migliore dei suoi anni migliori. Perché sfrontatamente libero, difforme, musicale. Contro i cupi bombardieri dell’ultima generazione.

 

La risposta è semplice. Tanto semplice quanto complessa il mistero che la genera. E’ la gratitudine che c’inchioda ai piedi di Roger. E che lo costringe a vivere più di quanto sia ragionevole fare. Questo è. Siamo grati a Roger perché, per quanto dura il tempo del suo tennis, un’ora, due, quasi mai più di due, ci esonera dal corpo e da tutto ciò che ci tiene a terra.

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Dove “gioca” Roger non c’è spazio per i cattivi pensieri e la bruta materia. “Spero di tornare il prossimo anno a difendere il titolo”, ha detto alla fine con il suo trofeo in mano. Una promessa per quasi tutti. Una minaccia per quelli che se lo ritroveranno al di là della rete. 

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