VIDEO - GLI INSULTI A CHAILLY DEI REGISTI MOSHE LEISER E PATRICE CAURIER
DAGOREPORT
Opera lirica o opera gay? Quello che la “Giovannona d’Arco” ha messo a nudo è l’evidenza dell’ennesimo predominio del mondo LGTB nella cultura. Lo scazzo tra il direttore etero e italiano Riccardo Chailly e i registi gay della solita lobby Moshe Leiser e Patrice Caurier, coppia omosex affiatata da vent’anni, è stato rude.
A sipario ormai chiuso, mentre il direttore d'orchestra si preparava a parlare ai microfoni di Rai Radio 3, il regista belga Leiser gli ha urlato: "Congratulations Maestro, really congratulations". Pausa di qualche secondo. "Asshole". Poi, non contento, in italiano: "stronzo di merda". Chailly, impietrito, non ha reagito.
Quale sarebbe la sua colpa, anche a successo avvenuto? Forse quella di aver fatto tagliare ai due registi, nei mesi scorsi, alcune scene dell’opera. E, in particolare, quella supergay dove i diavoletti si “inculavano” in scena a vicenda (“more ferarum”, o contronatura, per essere colti).
Qualche anno fa, alla prima della “Carmen”, la rivista “Gay tv” si esaltò per la regista Emma Dante: “I loggionisti fremono, i critici temono dissacrazioni, il pubblico è in trepidazione per la Carmen, che, a detta della palermitana autrice e regista, sarà mafiosa, se non addirittura transessuale”. Olé.
Questi tagli sono una “colpa” per il povero Chailly in un modo, come quello dell’opera, dove la Callas è icona gay, dove il mondo gay si trova a Salisburgo e Bayreuth d’estate, dove a New York è il sito “The LGBTQ Opera Club of New York City” uno tra i più seguiti, dove non pochi critici sono gay?
Una delle più importante riviste italiana di musicologia, “Il saggiatore musicale”, nel 2001 pubblicò un saggio intitolato “L’omosessualità è un modo di cantare?” di Emanuele Senici e Davide Daolmi (ovviamente gay) che già la diceva lunga sul legame canto-castrati, canto-omosessualità, sebbene il settore possa vantare anche veri machi da conquista e latin lover.
Non sono un mistero le conquiste di Puccini e il fazzoletto sporco del sangue dell’amata che, talvolta, Toscanini conservava nel taschino. Per non parlare di von Karajan che – leggenda vuole – quando doveva ricevere ospiti sgraditi faceva posare su ogni seduta della casa un paio di mutandine da donna per mettere in imbarazzo gli ospiti.
La schiera dei registi gay, però, a partire da Visconti, in giù, è sempre più padrona del proscenio. E melochecche che si identificano con i modi della Callas si moltiplicano tra il pubblico, tra attenzione ai vestiti delle signore, sprezzo e travestimenti che, dell’opera, sono la sostanza.
Dell’argomento, negli Stati Uniti si sono occupati seri studiosi, quali Philip Brett, uno dei fondatori del Gay and Lesbian Study Group della Società Americana di Musicologia, e tra le studiose almeno Elizabeth Wood e Suzanne Cusick.
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Le ragione dell’attrazione gay per l’opera sta, anzitutto, nei libretti, dove compaiono figure omoerotiche. Vedi i libretti con Oreste e Pilade nell’”Ifigenia in Tauride” di Gluck con Norma e Adaligisa nella “Norma” di Bellini o Carlo e Posa nel “Don Carlo” di Verdi. Per non parlare dell’omoerotismo dei cavalieri alla perenne ricerca del Gral e compagnia.
Anche se alcuni di essi, vedi Tristano, vanno nella direzione opposta. Tutto ciò ha favorito l’attuale attrazione del pubblico gay per l’opera, ove un tempo, nei palchi, i borghesi ci portavano le amanti per scoparsele o farsi fare servizietti (pare ancora oggi qualcosa accada, comunque).
Nel saggio citato, Davide Daolmi fa un outing: “Ci sono voci che riferiscono dei divertimenti di Galuppi con Gian Gastone de’ Medici, e altre che lo descrivono severo padre di una sterminata famiglia di marmocchi. Io credo che Galuppi non sia omosessuale ma si sia tappato il naso (letteralmente visto che pare che il Medici si lavasse poco) e abbia accondisceso le voglie del Gran principe per interesse professionale.
Altri hanno unito l’utile al dilettevole, Cesti, Ariosti, per esempio. Altri ancora lo hanno probabilmente taciuto anche a se stessi, come forse Cherubini. In questo secolo credo che siano dichiarati solo Bussotti e in parte Menotti”. Aggiunge Emanuele Senici: “Se si esce dall’Italia, un gruppo ormai identificato esiste: Haendel, Cajkovskij, Ethel Smyth, Ravel, Poulenc, Britten, Tippett, Barber, Bernstein, per citare solo gli operisti…”