Giancarlo Dotto per “Diva e Donna”
In ordine di apparizione. I due Labrador, Rudy quello crema, Phil il nero, che ti scortano con le loro code festose, lungo il sentiero di camelie, aranci, e mandarini, poi la grande pancia del padrone di casa, cassaforte che custodisce sapori, odori, memorie, tutte le dispense saccheggiate nottetempo, e finalmente lui, subito dopo la pancia, Paolo Villaggio, anni 78, dentro un caffetano color sabbia. Chiede aiuto per accendere il gigantesco Mac, che per lui resta un mistero assoluto.
“In questi giorni sono famelico di sapere tutto sulla tragedia in Giappone”. Si allontana ogni dieci minuti a fare pipì, con passo lento e maestoso. “Abbia pazienza, prendo i diuretici”. Sulla scrivania il suo ultimo libro, “Mi dichi” (Ed.Mondadori), spassose divagazioni sugli oltraggi subiti dalla lingua italiana nei decenni della tele al potere. Sulle pareti, centinaia di foto. Villaggio con Martin Scorsese, Mike Tyson, Gassman, Tognazzi, Liza Minnelli, Baudo, Fellini, Cossiga, Napolitano. Non c’è Azeglio Ciampi.
“Lui e la moglie abitano qui di fronte a me. Sono molto affettuosi. Franca la incrocio spesso al mercato. Lui lo vedo meno, non sta molto bene, sono entrambi un po’ disorientati. Di solito, ci incontriamo quando andiamo a votare”.
Dentro la cabina votate per lo stesso simbolo?
”Non lo so. Per chi vota Ciampi?”.
A naso direi Pd.
“Allora stesso voto”.
Intimo anche con il presidente Napolitano?
“Ma no, ci siamo visti spesso a casa di Gillo Pontecorvo. E’ stato lui, Gillo, che si è imposto per farmi avere il Leone d’oro a Venezia”.
Scrittore a tempo pieno ormai.
“Mezzo pieno. In questi giorni sono a teatro con un monologo. Una specie di predica ai giovani montata su materiali fintamente autobiografici. Fingo anche di commuovermi, se è per questo. Le biografie inventate funzionano. A furia di raccontarle, poi finisce che uno ci crede. Quella mia vera non è per niente entusiasmante”.
Le piace stare con i giovani?
“Per niente. Mi piacerebbe anche, ma sono loro che non vogliono stare con me. La mia è una generazione di parlatori implacabili, aulici, noiosi”.
MAURA ALBITES E PAOLO VILLAGGIO
Ha mentito anche l’altra sera da Fazio?
“Soprattutto da quel furbetto di Fazio. Lui crede a tutto quello che gli dico e poi lo racconta agli altri”.
Inventata anche la storia del negro americano con le mani rosa che sbuca da un carro armato e suo padre che dice ai due figli, cioè lei e il suo gemello: “non ti avvicinare potrebbe essere un cannibale!”.
“Falsa anche questa. La racconto anche nel mio monologo e tutti ci credono. Non è un’invenzione invece la festa alla fine della guerra. Al confronto, il carnevale di Rio è una cosa malinconica. Spero che un giorno la guerra diventi un tabù, com’è successo con l’incesto”.
PAOLO VILLAGGIO E MAURA ALBITES
Sua moglie Maura che se ne fa di un uomo così bugiardo?
“Non è mia moglie. Non l’ho mai sposata. Mia madre si sarebbe suicidata, non le andava a genio. Provavo un’attrazione fisica imbarazzante per Maura. Viviamo insieme da cinquantatré anni. E’ una donna allegra e coraggiosa. Vorrei avere conservato in una boccetta il suo odore di quando era quindicenne”.
Coraggiosa per il fatto di starle accanto da così tanto tempo?
“Cinquantatré anni con uno stronzo come me. Le piacevano gli uomini belli, come tutte, però poi si rompeva le palle e li buttava fuori dal finestrino dei treni. Con me è stata clemente. Maura è la persona alla quale voglio più bene al mondo. Dopo di lei, i miei due figli, mio nipote Andrea e i Labrador”.
Se pensa alla sua ormai lunga vita cosa le viene addosso?
“La vigliaccheria di non aver mai saputo dire alle persone quello che penso davvero di loro. Ho paura di ferire il prossimo. Non so dire di no. Per questo, mi metto nei casini tremendi”.
Un caso di vigliaccheria.
“Tognazzi mi chiamava l’inaffidabile. Una volta l’ho mandato a una crociera in Egitto da solo con la moglie. “Ti raggiungo a Napoli”, gli avevo promesso. Stavo a Cortina e me ne sono fottuto. Lui mi chiama da Napoli e, davanti alla moglie, mi urla: “Ti rendi conto? Mi hai lasciato solo con Franca!”.
Quando ha cominciato a diventare quello che è diventato?
“Io ho avuto due vite. Nella prima ero un fallito. Mio padre andava dal macellaio e diceva: “ho avuto una grande fortuna nella vita, avere un figlio così…”, si voltava e indicava Piero, il mio gemello secchione. Mia madre era possessiva e gelosa. Ha fatto di me e di mio fratello due castrati. Fino a trentaquattro anni non riuscivo a rivolgere la parola a una donna”.
E poi?
“Poi sono diventato Villaggio e sono state loro che si avvicinavano”.
La seconda vita.
“Scrivevo per l’Europeo ogni settimana un pezzullo: “La domenica di Fantozzi”. Moltiplicarono le copie. Un giorno mi chiama il cummenda, Angelo Rizzoli: “Villaggio facciamo un libro con Fantozzi”. Esce e vende un milione e mezzo di copie”.
E diventa un film.
PAOLO VILLAGGIO IN FRACCHIA LA BELVA UMANA
“Mi richiama Rizzoli: “e ora facciamo un film”. E io: “a chi lo facciamo fare Fantozzi?”. La prima scelta fu Renato Pozzetto. Perfetto. Ma era reduce dal trionfo di “Per amare Ofelia”. Pensammo a Ugo Tognazzi. Niente. “Fallo tu allora”, mi fa Rizzoli. “Tentiamo”, mi dissi terrorizzato. Incassò sette miliardi di allora. Uno sproposito”.
Fantozzi la fa ridere?
“I film no, non li guardo proprio. I libri, quando li sfoglio, mi sembrano scritti da un altro. Le rare volte che li guardo, vedo solo gli errori. Rifarei tutto quello che ho fatto, film e libri. Nel senso che rimetterei le mani su tutto”.
Chi la fa ridere?
“I Monty Python. Geniali. “Brazil” di Terry Gillian è un capolavoro”.
Benigni la fa ridere?
“Lui è sempre fuori le righe, un clown euforico. Solo quando parla di soldi con la moglie diventa serissimo. Cambia voce, faccia. Esce il contadino che è in lui. Un grandissimo, Benigni, anche se non lascia nulla di scritto”.
Federico Fellini, la testa più notevole tra quelle incrociate?
“Ugo Tognazzi era il più intelligente in assoluto. Tutti pensano a lui come un volgarone, un abile cuoco… Lo dico adesso che è morto, se no s’incazzerebbe, ma lui come cuoco era negato. Un killer, faceva cose ripugnanti. Una sera Monicelli ha raccolto i resti della cena in un sacchetto. Ugo vestito da cuoco gli chiede: “Mario che fai?”. “Li porto all’istituto italiano di criminologia”. “No, ti prego!”. Aveva capito Ugo che poteva andare in galera. Aveva la quarta elementare e se ne vantava”.
Il suo amico Monicelli si è lasciato cadere nel vuoto.
“Si è lucidamente suicidato. Me l’aveva detto. Frequentava solo me negli ultimi tempi. Ti racconto com’è andata. Va dal primario urologo. Duro, com’era lui: “E allora? Mi dica la verità”. “Sa, lei ha 95 anni, non è più giovanissimo, volendo…”. “La ringrazio, ho capito”. Torna in camera sua, si chiude a chiave e via, si butta di sotto. Eutanasia. L’alternativa? Morfina, radiazioni, il sacchetto di plastica. Non era vita”.
Lei parla spesso del suo imminente suicidio.
“Io sono molto vigliacco, bisogna avere un coraggio o una disperazione rara per farlo. L’istinto ti porta a correre da Veronesi, a chiedere pietà”.
Prima di Monicelli, se n’erano andati lo stesso Tognazzi, Gassman, De Andrè. Pezzi fondamentali della sua storia.
“Gli attori sono persone scontente di sé che hanno bisogno di mascherarsi. Si tingono i capelli, cambiano la voce. Gassman, quando stavamo soli, mi chiedeva: “dimmi la verità, io sono un cretino, vero?”. Aveva questo sospetto. Vittorio era un uomo speciale e alla fine molto depresso. Anche Tognazzi lo era. Mi portava in giardino e mi diceva: “Guarda quegli alberi lì, li ho piantati un mese fa, ti piacciono? Tanto io non ce la farò a vederli crescere”.
Villaggio non si deprime mai?
“E’ una cosa che non mi appartiene. La decadenza è un fatto naturale. In quest’ultima fase di luna calante scrivo molto e leggo. Sempre gli stessi. Kafka, Dostoevskij, Roland Barthes. Al cinema non vado da decenni, a teatro non mi portano neppure a bastonate. Vedo qualche cassetta, sempre le stesse, ”I sette samurai”, i film di Hitchcock, tutti. “La dolce vita” la so a memoria”.
Con Fabrizio De Andrè un sodalizio importante.
“Un’intelligenza speciale. Era molto divertente. Trent’anni passati insieme. Nella vita era simile a Tognazzi, terribilmente autodistruttivo, si sminuiva anche lui. “Sono uno stronzo”, diceva sempre. Appena è morto, l’hanno santificato. Ho invidiato molto i suoi funerali, tutta quella gente. Andai a trovarlo all’ospedale che non era più lui, gonfio, senza capelli. “Hei”, mi fa, “smonta quella faccia, lo so benissimo che sono al capolinea… Voglio solo che tu, dopo, dica alla gente che non sono un menestrello, un cantautore, ma un grande poeta”. Furono le sue ultime parole”.
Come nacque la storia del “menestrello”?
“Quando ha cominciato a lavorare con me sulle crociere Costa, io lo presentavo ai vecchi babbioni della prima classe come “Faber, un menestrello che allieterà la vostra serata”. Dopo di che lui attaccava con “Quando la morte vi chiamerà…”.
Un tipo esagerato.
“Esagerato e vanitoso. Ricordo una notte di tregenda a casa di un amico che si chiamava “il paralitico” perché era paralitico. Raschiano alla porta, entra un gatto che vomita un topo morto. Urla delle ragazze. Orrore. Lui si alza e fa: “Se mi date ventimila lire, me lo mangio”. Gigi Rizzi, il playboy della Bardot: “Te li do io”. Fabrizio afferra i soldi, se li mette nel taschino, respira profondo e morsica il topo. “Non lo mangio, perché non ho più fame”. Faceva cose da debosciato,
Il grande attore secondo Villaggio.
“Meryl Streep e Marlon Brando sono attori straordinari, non fanno niente, assolutamente niente, non hanno bisogno di fare smorfie raccapriccianti, come fa la Magnani, per esprimere un’emozione violentissima”.
Da Fantozzi in poi è diventato ricco in modo definitivo?
“Ho scialato tanto, speso tutto. “Viaggi ovunque, Seychelles, Maldive, Turchia, Spagna, Londra, Americhe, aerei privati, con più ospiti a bordo, alberghi di lusso”.
Stravizi, droghe pesanti?
“Per quello che mi risulta i cocainomani sono dei cretini. Tutti i viziosi sono gente mediocre. Hanno bisogno di altro per sopportare se stessi”.
Salutista?
“Per niente. Ho assunto nella mia vita quantità letali di salame di felino. Quello che ho ingurgitato fino ai quaranta mi ha provocato danni irreversibili. Il grasso di maiale fa più guasti alle coronarie della cocaina. Penso a certe mamme assassine. Alle cofane di tagliatelle che portavano a tavola. Tutti quelli della mia generazione sono malati di cofanismo. Nelle scuole dovrebbero insegnare dietetica al posto della religione. Nel 2100 ci saranno agenti speciali all’entrata dei ristoranti per pesare i ciccioni e umiliarli davanti a tutti”.
Sempre forte la sua libido da cibo?
“No. Un po’ l’età, un po’ queste iniezioni che mi faccio sotto pelle per placare la fame. Mi limito a mangiare con gli occhi. Entro in una rosticceria, compro due calzoni, dieci supplì e li regalo ai poveri”.
Attaccato alla vita?
“Vorrei vivere fino all’anno trentamila per avere un’idea esatta sull’origine dell’universo. La più grossa truffa della storia è l’invenzione di Dio. L’ultimo libro del Papa sulla resurrezione di Cristo è ridicolo”.
Si è mai vergognato di fare qualcosa?
“Mi sono vergognato del cinquanta per cento delle cose che ho fatto. Ricordo una trasmissione oscena con Mara Venier, ma prendevo ventiquattro mila euro a puntata per lavorare dieci minuti”.
I soldi giustificano tutto?
fantozzi al cinema2 u301524295365wqb 1280x960@web
“No, se poi invece di accumularli li spendi tutti. Tornassi indietro farei meno stronzate. Ho fatto una serie di film atroci tipo “I pompieri”, “Scuola di ladri”. Mi davano anche due miliardi a film. Invecchiando, faccio meno stronzate e guadagno in autorità”.
Che ne è stato della lingua italiana?
“E’ diventata una lingua sconosciuta all’estero. Soppiantata anche dallo spagnolo. Sconosciuta ormai anche agli italiani”.
Chi parla oggi il miglior italiano?
“Il popolo dei messaggini. Una lingua nuova, fatta di sintesi fulminanti. O mio fratello gemello. Mi ha spiegato i buchi neri alla lavagna in dieci minuti. Il peggiore? Nei verbali di polizia e nei discorsi degli intellettuali di sinistra. Dei forsennati. La stupidità assoluta. Scrivono per se stessi. Di Pietro? E proprio così in natura. Non come Mike Bongiorno, che era deficiente e si è coltivato quell’italiano elementare, grazie al quale ha avuto il funerale in Duomo”.
L’Italia e i 150 anni. Quanto è patriota Villaggio?
“Una cosa patetica. Se fanno un referendum, da Firenze in su votano contro l’unità. Nel Sud domina la mafia, uno Stato parallelo. Una volta esportavamo la moda, oggi esportiamo la malavita”.
ROBERTO DAGOSTINO DAGO E PAOLO VILLAGGIO FOTO MARCELLINO RADOGNA
Scandalose le sue prime irruzioni televisive.
“Era la televisione bacchettona e mielosa delle vecchine da blandire. Io ne vedo una che ride e, infastidito, le urlo: “Zitta lei, vecchia imbecille!”. Lo studio ammutolito. Un dramma. Fu una specie di colpo di Stato...Oggi la televisione è orrenda, rincorre il peggio, ma se non la fai vieni completamente dimenticato, muori”.
Non posso non farle una domanda sul suo amico Silvio.
“Ti prego, non farmela. Non voglio parlare di lui”.
Quella storia che Berlusconi si è proposto di fare il suo elogio funebre?
“Chi l’ha detta questa stronzata?”
Lei, alla radio. Falsa?
“Completamente falsa”.
Fantasie omicide?
“Mai. Solo invidia. Ho invidiato molto Renato Pozzetto dopo il successo di “Per amare Ofelia”. Andai anche da un invidiologo. Diceva che l’invidia repressa provoca l’ulcera gastrica. Mi consigliò di uscire di notte, possibilmente nudo, urlando: “Io sto invidiando Renato Pozzetto”.
Vittorio Gassman e Paolo Villaggio a Teatro 10 (1972
Più o meno di cinquecento donne?
“Mi mette in imbarazzo. Non le ho contate. Odio il fichista. Posso dire che ho fatto sesso tutte le volte che ho potuto. Fino a dieci anni fa m’invaghivo solo delle mogli dei miei migliori amici”.
“Scattava l’autocensura?
Per niente. Ho sempre usato la mia timidezza patologica come arma di seduzione”.
Le piace sedurre?
Mi eccitava molto pagare. Portarle biecamente in giro con aerei privati, barche, macchine sontuose. Degradare vagamente il rapporto fa parte della sessualità. Oggi, con questo velinismo imperversante, la corruzione è una scorciatoia facile”.
Paolo Villaggio e Renzo Arbore
Non ha più l’età?
“Con il diabete si diventa impotenti. Mi resta solo la libido di parola. Dico alle ragazze quello che farei con loro nei dettagli, ma prima chiedo il permesso”.
Una donna da cui si farebbe calpestare?
“Non da Carla Bruni. Mi sta sulle scatole. Una nata a Moncalieri che parlava come Macario e che dice con accento parigino: la lingua italiana fa parte del mio passato. Sono sicuro che quando il topo cadrà in disgrazia lei lo mollerà”.
FABRIZIO DE ANDRE PAOLO VILLAGGIO
Meglio Monica Bellucci?
“Non c’è paragone. Bellissima, anche se un po’ noiosa. In Italia non ce l’ha fatta, ma in Francia la trattano come una star, quindi fa bene ad amare i francesi.”
Scandali e perversioni filtrano dal mondo della chiesa.
“E’ il voto di castità il problema. Favorisce l’omosessualità nei giovani seminaristi che, da vecchi, degenera in pedofilia”.
Si è vecchi o lo si diventa?
“Gli uomini sono come i cani: vanno avanti fino a una certa età e poi crollano di colpo. E’ l’invecchiamento a picco. Io sento le prime avvisaglie, l’avvicinamento dell’inefficienza. Si diventa impotenti, sordi, ci vedi male, hai delle lacerazioni di memoria”.
Si dice che i vecchi sono cattivi perché non hanno più niente da perdere.
“Lo dice chi confonde la cattiveria con il dire la verità, lusso che pochi si concedono. Gassman diceva sempre quello che pensava e io pure. La cosa disorienta. Ma perché, era forse buono Alberto Sordi? Sordi era una carogna, Eduardo anche”.