Claudio Marincola per "Il Messaggero"
La basilica di Sant'Apollinare, a un passo da piazza Navona, non fa parte del territorio inviolabile della Città del Vaticano. Dunque non ne fa parte la sua cripta. E tanto meno il sepolcro in cui riposano le spoglie di Enrico De Pedis, detto Renatino, morto ammazzato nel 1990 dopo una feroce carriera da capo della banda della Magliana. Lo chiarisce definitivamente Annamaria Cancellieri, ministro dell'Interno, in una lettera a Walter Veltroni.
basilica sant apollinareL'ex sindaco di Roma si sforza da tempo di chiarire il mistero della sepoltura del boss, in relazione al ruolo chiave a lui attribuito nella sparizione di Emanuela Orlandi. La quindicenne, cittadina vaticana, scomparve nel nulla una sera di giugno del 1983, all'uscita da una lezione di musica a Sant'Apollinare. Per la Chiesa, ad autorizzare la sepoltura fu il cardinale Ugo Poletti, all'epoca vicario papale per la diocesi di Roma e presidente della Conferenza episcopale. Da parte italiana, il via libera arrivò dal Comune di Roma.
Pochi giorni fa, nel corso di un «question time» alla Camera, Veltroni aveva chiesto a Cancellieri chiarimenti sulla vicenda. Il ministro aveva attribuito alla basilica carattere di extraterritorialità. «Un'imprecisione», scrive oggi, «dovuta al fatto che è stata riportata integralmente l'affermazione contenuta in un rapporto di polizia». Ma aveva anche promesso di approfondire. A Veltroni, e alla famiglia Orlandi, che assisteva dalla tribuna di Montecitorio.
Ha stabilito, così, che la basilica «non è territorio dello stato della Città del Vaticano». Gode solo di uno status, previsto dalle leggi di attuazione dei Patti Lateranensi, che consente alla Santa Sede di dare all'immobile «l'assetto che creda, senza bisogno di autorizzazioni o consensi da parte di autorità italiane».
ANNAMARIA CANCELLIERIeSolo venerdì pomeriggio «sono stati acquisiti documenti» necessari. «Il 10 marzo 1990», cinque settimane dopo l'omicidio di De Pedis, «il cardinale Poletti rilasciava il nulla osta della Santa Sede». Dieci giorni più tardi monsignor Pietro Vergari, rettore della basilica, attestava il suo speciale regime giuridico. «La famiglia De Pedis ottiene il 23 marzo dall'autorità comunale l'autorizzazione all'estumulazione della salma dal Verano per il trasferimento alla basilica di Sant'Apollinare in Roma». Attenzione ai dettagli: lo stesso giorno la famiglia chiede alla Asl, invece, assistenza per la traslazione «nella basilica di Sant'Apollinare, Stato Città del Vaticano».
Quelle poche sillabe, che qualcuno ha sbadatamente o volutamente trascurato, sono la prima pietra del muro finora invalicabile che ha impedito agli inquirenti italiani di occuparsi della sepoltura del boss. A suggello, scrive ancora Cancellieri, «la famiglia De Pedis ottiene in data 24 aprile 1990 dall'autorità comunale l'autorizzazione al trasporto della salma del congiunto da Roma a Città del Vaticano». Dopo un quarto di secolo almeno uno dei misteri del caso Orlandi potrebbe essere chiarito.
DEPEDIS AMMAZZATOTra queste carte c'è forse la soluzione a un caso rimasto per tutti questi anni un mistero.
La procedura intrapresa dalla moglie del boss della Magliana fu piuttosto complessa.
Richiese il passaggio attraverso vari uffici: si trattava di trasferire una salma da un cimitero a una chiesa posta nello stesso comune. Lo si deduce dal numero dei timbri e dei bolli pagati per i vari diritti e anche dalle varie dichiarazioni rese per ottenere il nulla osta finale.
In originale è rimasta negli uffici dell'allora Direzione servizi funebri anche la dichiarazione del Vicariato necessaria per avviare l'iter. La firma in calce è quella del cardinal vicario Ugo Poletti, la data è del 10 marzo 1990, «si dichiara che, da parte del Vicariato, nulla osta, per quanto di sua competenza, alla tumulazione della salma di Enrico De Pedis, deceduto il 2.2 1990, in una delle camere mortuarie site nei sotterranei della Basilica di S. Apollinare sita in Roma». Inizialmente la salma di Renatino fu tumulata nella tomba (numero 73 rig 124) della famiglia della moglie, Carla Di Giovanni tre giorni dopo essere stato ucciso in via del Pellegrino come si legge nell'atto di morte alle 13.20 da un unico proiettile che gli trapassò il torace. Le firme delle varie autorizzazioni sono quelle degli impiegati addetti al servizio o dell'ufficiale dello stato civile.
WALTER VELTRONINella prima domanda, su carta bollata da 5000 lire, la moglie Carla dichiarò che nessuno si opponeva al trasferimento della salma «ad altra sepoltura». Era la prassi, ma il nuovo luogo di sepoltura inizialmente non venne indicato. L'altra domanda, indirizzata formalmente al sindaco di Roma all'epoca Franco Carraro e alla direzione dei servizi funebri, è finalizzata a chiedere l'assistenza sanitaria per il trasferimento della salma. E per la prima volta compare, anche in questo caso sulla carta bollata giallastra dell'epoca, l'indicazione di S.Apollinare.
Su un lato della domanda si legge distintamente anche un numero di telefono e in fondo un codice fiscale. La data scritta a penna è il 23 marzo 1990, ma il protocollo (010556) è del giorno successivo. Per la cronaca il costo dell'esumazione fu di 358.500 lire, Iva compresa. Un mese dopo, il 24 aprile, la salma di Renatino venne tumulata nella cripta e le chiavi consegnate alla vedova. Il verbale di consegna è un foglio bianco indirizzato alla Città del Vaticano. Ci sono i timbri del Comune. Ci sono le firme degli incaricati al trasporto e viene indicato anche il nome dell'agenzia funebre che lo esegui. Al posto del sindaco come da prassi, c'è uno scarabocchio: la sigla dell'impiegato addetto al servizio.
Emanuela OrlandiNello stesso fascicolo è stato incluso anche il verbale di sequestro ordinato dalla Direzione investigativa antimafia. Il protocollo indica la data del 13 settembre 1995. Il giorno prima il Messaggero aveva pubblicato per la prima volta la notizia che la salma Renatino era stata portata nella Basilica. Nel frattempo il «mistero di Sant'Apollinare» era stato associato alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Ora ci sono anche le carte che dimostrano il consenso del Comune di Roma e del Vicariato. Ma non c'è ancora la risposta alla domanda forse più importante: ma è davvero di Enrico De Pedis la salma tumulata nelle camere mortuarie della Basilica?