Fulvio Bufi per il “Corriere della Sera”
In un posto come Scampia una piazza di spaccio e un campetto di calcio può capitare anche che stiano attaccati, e per un ragazzino nato e cresciuto in quelle strade scegliere una o l' altro può essere solo casuale. Non lo era stato, però, per Armando Izzo.
Lui per la piazza di spaccio, se c' è passato, c' è passato a largo, senza fermarsi, senza nemmeno rallentare. Diretto al campo in compagnia del papà che non lo ha potuto vedere calciatore perché la leucemia lo ha ucciso quando il figlio aveva 14 anni, ma che in quel ragazzo aveva visto un talento destinato a portarlo lontano da Scampia. E aveva visto giusto.
E però Scampia è un posto che non perdona. E lo è il Rione dei Fiori di Secondigliano, quello che chiamano il Terzo mondo , lo è via Vanella Grassi, che sarebbe una strada e basta, ma adesso è il nome di un clan. Storpiato, con Vanella che diventa Vinella , ma insomma non è più una minuscola traversa di un quartiere di periferia che una volta la conosceva solo chi ci abitava.
Armando la conosceva, e conosceva i ragazzi che da quella stradina sono partiti per andare cinquecento metri più in là a fare i morti , come dicono quelli che combattono una guerra per la droga.
Un collaboratore di giustizia racconta che quando aveva 15 o 16 anni Izzo voleva diventare uno di loro. Il 27 luglio del 2015, Antonio Accurso, fratello del boss più potente della Vinella (Umberto, arrestato meno di due settimane fa ) dichiara: «Nel periodo 2007-2009, Izzo Armando non voleva più giocare a pallone e voleva affiliarsi con noi della Vinella Grassi, ma noi ritenemmo importante per lui che giocasse a pallone».
Un altro collaboratore, Mario Pacciarelli, conferma: «Voleva diventare un affiliato della Vinella Grassi». Aveva un cugino nel clan, Gaetano Petriccione, e «voleva fare "il suo ragazzo", affiancarlo in attività criminali». Ma dal carcere il capoclan Armando Petriccione, padre di Gaetano e zio acquisito di Armando, non diede il benestare: «Fece giungere al figlio un' ambasciata, dicendo che Armando, avendo un talento come calciatore, doveva seguire quella vocazione, come avrebbe voluto il padre».
E Armando continua a giocare. Dall' Arci Scampia alle giovanili del Napoli, che paga il suo cartellino 5 mila euro e alla vigilia della stagione 2011-2012 lo porta al ritiro precampionato a Dimaro con la prima squadra. Izzo non ha nemmeno le scarpette, gliele compra pagando di tasca sua l' allenatore Walter Mazzarri. Il capitano Paolo Cannavaro lo prende a ben volere, e pure gli altri compagni.
E quando lui si trova ad aspettare un figlio imprevisto dalla sua fidanzata (il loro è un amore contrastato dal padre di lei, e secondo un pentito anche dai clan del Rione Sanità, dove abita la ragazza) nello spogliatoio organizzano una colletta per aiutarlo.
Lui in campo mostra di essere bravo: difensore moderno, completo. Però deve crescere.
Il Napoli lo manda in prestito alla Triestina, poi si fa avanti l' Avellino che ne acquisisce la comproprietà. Negli anni con la maglia biancoverde degli irpini il giocatore, secondo l' inchiesta della Dda, si mette al servizio dei suoi vecchi amici della Vinella Grassi.
All' epoca non se ne sa ancora nulla, il nome di Izzo attrae osservatori di più di un club importante, eppure quando arriva il momento di investire qualche soldo per riprenderselo, il Napoli lo molla, lo perde per 400 mila euro, praticamente niente. Arriva invece il Genoa, che lo porta in serie A e alla fine arriva anche la convocazione a Coverciano.
È storia di oggi: Izzo entra nei 30 chiamati da Conte per lo stage alla vigilia degli Europei. Sa che non andrà in Francia ma essere lì, pure se non ci sono Bonucci e Chiellini, è un sogno. Poi la Procura antimafia di Napoli lo sveglia. «Sono vicende a me estranee - dice Izzo -. Sono un calciatore e non ho mai pensato di truccare una partita. Nelle due gare sotto accusa non ho neanche giocato».