Piero Bottino per “la Stampa”
La buona notizia per la Borsalino è che sui mercati i suoi cappelli sono ancora al top delle richieste: ad esempio di recente ha aumentato i prezzi di quelli «religiosi», creati per il mercato israeliano, e secondo l’ad Marco Moccia le vendite non ne hanno risentito: «Anzi, avessimo più prodotto da piazzare...».
La cattiva notizia è che il Cda guidato dallo stesso Moccia ha deciso un paio di settimane fa di chiedere al tribunale di Alessandria il concordato preventivo «che consenta la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti», ma che potrebbe anche portare a uno «scenario alternativo di natura liquidatoria», insomma il fallimento.
UN GRUPPO STORICO
Ma perché un’azienda storica, che ha quasi 160 di vita, 130 dipendenti ed è considerata nel mondo della moda quasi quanto la Ferrari in quello dei motori, rischia di fallire? La Borsalino è oggi la plastica rappresentazione di come una finanza d’assalto possa influenzare un’industria sana e profittevole: all’origine dei suoi guai c’è appunto un finanziere, l’astigiano Marco Marenco, al centro della maggiore bancarotta italiana dopo Parmalat, un crac stimato sui tre miliardi. Da giugno dell’anno scorso è di fatto latitante all’estero (pare in Svizzera) dopo gli ordini di cattura emessi dai tribunali di Asti e Alessandria.
LEO DI CAPRIO CON IL BORSALINO
Fra le quote di undici società riconducibili a Marenco messe sotto sequestro c’è anche il 50,45 della Borsalino di proprietà della Fisi, a sua volta controllata dalla quasi omonima Fisi Gmbh con sede in Germania. Senza contare che il 17,47% del cappellificio è della Finind, altra società «marenchiana» a sua volta da tempo commissariata per bancarotta.
Un insieme di scatole cinesi che da mesi ormai la magistratura sta cercando di aprire con la nomina di curatori e custodi giudiziali: sarebbero loro ormai i veri «padroni» del cappellificio, benché agiscano non di concerto e spesso con lentezza rispetto alle decisioni obbligate per un’azienda.
Con sullo sfondo questo caos, il cda (Marco Moccia, Francesco Canepa, Raffaele Grimaldi) agisce da tempo per tentare di salvare il salvabile, utilizzando gli incassi per pagare dipendenti e almeno in parte i fornitori: di usare le banche neanche a parlarne perché i giudici hanno anche congelato beni per un paio di milioni, causa un processo per evasione fiscale. Il problema più grosso è stato qualche mese fa quando il debito verso il maggior fornitore di pelo di coniglio (indispensabile per il feltro) è salito a livelli tali da far sospendere gli invii. Ma attraverso altri canali l’azienda ha poi potuto tornare ad approvvigionarsi.
IL REBUS DELLA PROPRIETÀ
La richiesta di concordato preventivo arriva dunque quasi come una liberazione, visto che finalmente si dovrà risolvere i rebus legati alla proprietà ed è inutile dire che Borsalino è un marchio che potrebbe far gola a molti nel mondo della moda: ci sono già voci di possibili cordate. Un passaggio di mano che ricorda molto quello dei primi Anni 90, quando il cappellificio passò da una scellerata proprietà politico-affaristica agli imprenditori astigiani Gallo-Monticone. Roberto Gallo, che l’ha ben gestito per una quindicina d’anni, ha un solo difetto: è parente di Marco Marenco.
ALAIN DELON E BELMONDO CON IL BORSALINO