“DA PICCOLO AVEVO COMPLICAZIONI ALLA VESCICA, DOVEVO SEMPRE FARE LA PIPÌ" – CLEMENTE MACCARO, AL SECOLO CLEMENTINO, SI CONFESSA: "PENSAVO DI ESSERE INFERIORE AGLI ALTRI. LA DROGA? È UNA MERDA. NE HO PASSATE DI COTTE E DI CRUDE. HO INIZIATO A FARNE USO QUANDO HO COMINCIATO A DIVENTARE FAMOSO. SONO STATO IN COMUNITÀ DUE VOLTE, UNA SETTE MESI - LA VERA RIVINCITA È STATA SUONARE NELLA PIAZZA DEL MIO PAESE - SANREMO? MI PIACEREBBE: DA CONCORRENTE, E UN GIORNO DA…” - VIDEO
Silvia Fumarola per la Repubblica - Estratti
È il rapper amato dai ragazzi e il giudice che a The Voice , condotto da Antonella Clerici (domani su Rai 1 la finale dell’edizione Generations ) ha conquistato il grande pubblico. Clementino, nome d’arte di Clemente Maccaro, nato ad Avellino nel 1982 e cresciuto tra Cimitile e Nola, è un mix di faccia tosta, timidezza e sensibilità.
Nella vita è caduto e si è rialzato. Sabato sarà ospite a Repubblica delle idee a Napoli insieme a Giuliano Sangiorgi, Alessandro Daniele, il figlio del grande Pino, e Erica Mou, all’incontro condotto da Gino Castaldo per ricordare Ernesto Assante, critico musicale di Repubblica scomparso il 26 febbraio. Musicista e showman, a “The voice” sembra che stia a casa sua.
«Ormai sono quattro anni, siamo legati. Il mio passato da animatore turistico e da attore teatrale mi ha aiutato. Pensavo che la mia vita se la fosse presa il rap e invece la tv è fantastica. Sono gli altri che devono dirti come vanno le cose, e quando dicono: “Mi piaci”, sono felice».
È difficile fare il giudice?
«Non siamo giudici, siamo coach. Non mi permetto di dare giudizi tecnici: non so cantare come Arisa, non ho la conoscenza musicale di Gigi (D’Alessio), non ho l’esperienza di Loredana Bertè. È il giudizio personale di Clementino».
Si è sentito giudicato nella vita?
«Sempre: al mio paese perché portavo i pantaloni larghi, a Napoli perché venivo dalla provincia, al Nord perché ero napoletano. Anche a scuola, ma alla fine mi sono laureato. Il giudizio più vero è il tuo, quando impari a giudicarti con umiltà».
Come ha iniziato?
«Andando fare le gare di freestyle. I miei non capivano. Ho vinto la prima, la seconda, la terza, a un certo punto si sono detti: “Ma allora questo sa fare qualcosa”. Se vieni dalla provincia cresci con la voglia di rivalsa».
Papà impiegato in banca, mamma insegnante, innamorati del teatro.
«Hanno fatto amare il teatro a me e ai miei fratelli. A 6 anni mamma mi iscrisse a un corso di chitarra, grazie ai miei zii ascoltavo Pino Daniele e Bob Marley. Ma da piccolo avevo complicazioni alla vescica, dovevo sempre fare la pipì, stavo sempre dal medico. Pensavo di essere inferiore agli altri. A volte il rap si fa per un disagio, io non avevo problemi a casa. Ero circondato dall’amore».
Il disagio da dove nasceva?
«Il mio è stato sociale. A scuola mi distraevo e venivo richiamato. Sempre con la testa tra le nuvole, mai rissaiolo. Pensavo solo: “Ora vi distruggo tutti con le parole”».
La bullizzavano?
«Il rap è diventato una necessità per dire le cose che non avevo il coraggio di dire alla professoressa, al ragazzino che mi minacciava se non gli portavo lo zaino. Oggi le persone mi fermano per un autografo».
La vive come una rivincita?
«La rivincita è stata suonare in piazza a Cimitile sold out. Il festival di Sanremo ok, Piazza del Plebiscito benissimo. Ma quando sono stato l’ospite della festa patronale dove, da piccolo, venivano a suonare Gerardina Trovato, Riccardo Fogli, Adriano Pappalardo, è stato incredibile. Sei sul palco, vedi la gente e la conosci tutta».
Le piacerebbe presentare?
«Ho già il titolo dello show, Clementime , quello che facevo nei villaggi. Prendevo la chitarra e intrattenevo la gente per un’ora: la piazza si riempiva. Sanremo? Mi piacerebbe: da concorrente, e un giorno da “disturbatore”al fianco di un conduttore bravissimo».
Ha detto: «Una persona che ti parla di alcol da ubriaco o di droga da drogato, non lo saprà mai fare bene. Dopo aver visto l’oscuro, puoi parlare anche con la luce».
gigi d'alessio clementino cantano l'inno di mameli a napoli
«La droga è una merda, è difficile uscirne, si chiama dipendenza per questo. Ne ho passate di cotte e di crude. Non voglio essere frainteso, credo di essere tra quelli che hanno fatto “la vita da rockstar”, nel senso che ho portato all’estremo tutto. Ho iniziato a farne uso quando ho cominciato a diventare famoso, non da adolescente. Per uscirne ci vuole tempo e sofferenza. Sono stato in comunità due volte, una sette mesi. I ragazzi dicevano: “Ma tu sei Clementino”. Psicologo, psicoterapeuta, psicofarmaci»
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