OBAMA SI SGANCIA DALLA “PETROLIERA” ARABA

Maurizio Molinari per "La Stampa"

Dietro il viaggio di Barack Obama in Medio Oriente c'è la scelta strategica di favorire un riassetto regionale che favorisca le tre potenze locali alleate: Arabia Saudita, Turchia e Israele. Rispetto al 2009, quando Obama parlò al mondo arabo dal Cairo, il Medio Oriente è radicalmente mutato per due motivi.

Il primo ha a che vedere con l'impatto delle sollevazioni che hanno spazzato via gli alleati in Tunisia, Egitto e Yemen, rovesciato l'avversario di Tripoli e di molto indebolito quello di Damasco rendendo possibile nuovi equilibri di forza.

Il secondo invece riguarda gli Stati Uniti: lo sfruttamento dello «shale gas» in Canada, il boom petrolifero in Texas e North Dakota e il nascituro mega oleodotto dall'Alberta al Golfo del Messico rendono possibile la trasformazione del Nordamerica in un colosso energetico capace di garantire agli Stati Uniti, secondo stime a conoscenza della Casa Bianca, l'indipendenza dal greggio del Golfo Persico fra il 2016 e il 2020.

Ciò significa che gli Stati Uniti, per la prima volta dalle concessioni petrolifere saudite alla «Standard Oil of California» del 1933, possono immaginare di emanciparsi dalla regione più instabile del Pianeta.

Poiché i presidenti Usa nel loro secondo mandato hanno in mente l'orizzonte della Storia, ciò comporta che Obama è - dai tempi di Franklin D. Rooselvt - il primo a poter gettare le basi di un nuovo assetto strategico del Medio Oriente nel quale gli Stati Uniti «guidano da dietro» ovvero senza un impegno diretto, puntando sui propri alleati.

È un cambiamento che Obama vede con favore perché consente all'America, in prospettiva, di avere meno attriti con l'Islam e più energie da impegnare nelle sfide del XXI secolo: contenimento della Cina, commerci transoceanici e sicurezza nel cyberspazio.

L'alleato di Washington che ha intuito per primo la svolta è stata l'Arabia Saudita. È avvenuto quando Obama, lo scorso anno, ha posto il veto sulla fornitura di armi ai ribelli siriani. Dopo una reazione a caldo di forte irritazione, a Riad raccontano diplomatici a Washington - è prevalsa la convinzione che toccasse al regno wahabita sostituirsi agli Usa nel ruolo di potenza di riferimento dei ribelli anti-Assad.

Da quel momento Riad ha preso le redini delle forniture di armi e costruito dentro la Lega Araba la coalizione antiAssad da cui sono escluse solo le capitali sotto l'influenza di Teheran: Baghdad, Beirut e, ovviamente, Damasco. L'emergere dei sauditi come leader del fronte sunnita, anche nelle operazioni militari, si deve all'indebolimento dell'Egitto di Morsi e si accompagna al crescente ruolo del più importante alleato non-arabo di Riad: la Turchia di Recep Tayyip Erdogan.

Ankara è considerata da Washington la nazione di riferimento per i movimenti della primavera araba considerati «islamici moderati» ovvero quelle formazioni dei Fratelli Musulmani che, dal Cairo a Tunisi fino ad Amman, possono trovare nel partito «Giustizia e Sviluppo» di Erdogan un modello. Il leader di Ankara non a caso è il più fervido sostenitore delle aperture Usa agli «islamici moderati», fino al punto da includervi i fondamentalisti di Hamas a Gaza.

Il terzo alleato strategico di Washington nella regione è lo Stato ebraico e i motivi sono quelli descritti ieri da Obama all'arrivo: valori democratici, interessi comuni e legame morale dell'America con la rinascita sionista nella Terra di Israele. Finora Gerusalemme è stata più lenta, rispetto a Riad ed Ankara, nel ritagliarsi un'indipendenza di azione da Washington.

Ma le premesse ci sono tutte: gli ingenti giacimenti di gas naturale a largo di Haifa consentono di immaginare l'emancipazione dal greggio, il boom dell'hi-tech promette di sostenere nel lungo termine la crescita economica e i blitz in Siria e Sudan suggeriscono maggiore flessibilità militare.

La transizione dall'era della «pax americana» ad un Medio Oriente in equilibrio fra sauditi, turchi e israeliani potrebbe avere il momento decisivo nell'eliminazione del nucleare iraniano perché Teheran, grazie all'atomica, potrebbe guidare l'alleanza rivale, sciita, con continuità territoriale dal Beluchistan alla Bekaa.

 

obama petrolio obamaoil OBAMA E PETROLIO Obama green america energia obama petrolio interna petrolio e dollari petrolio golfo messico

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni daniela santanche ignazio la russa

DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA SENZA “PROTETTORI”: GIORGIA MELONI NON PUÒ SFANCULARLA SENZA FAR SALTARE I NERVI A LA RUSSA. E SAREBBE UN BOOMERANG POLITICO PER LA DUCETTA DEI DUE MONDI: ‘GNAZIO È UN PESO MASSIMO DEL PARTITO, GOVERNA DI FATTO LA LOMBARDIA TRAMITE LA SUA CORRENTE MILANESE. SOPRATTUTTO, È IL PRESIDENTE DEL SENATO. MEGLIO NON FARLO IRRITARE: LA VENDETTA, LO SGAMBETTO, “L’INCIDENTE D’AULA”, POSSONO ESSERE SEMPRE DIETRO L’ANGOLO…

luigi lovaglio - francesco gaetano caltagirone - giancarlo giorgetti - milleri - alberto nagel - philippe donnet mediobanca mps giorgia meloni

DAGOREPORT - A RACCONTARLO NON CI SI CREDE. RISULTATO DEL PRIMO GIORNO DI OPS DEL MONTE DEI PASCHI SU MEDIOBANCA: TRACOLLO DELLA BANCA SENESE - SE IL MEF DI GIORGETTI, CHE HA L’11,7% DI MPS, LO PRENDE IN QUEL POSTO (PERDENDO 71 MILIONI), IL DUPLEX CALTAGIRONE-MILLERI FA BINGO: 154 MILIONI IN UN GIORNO - INFATTI: SE I DUE COMPARI PERDONO SU MPS 90 MILIONI, NE GUADAGNANO 244 AVENDO IL 25,3% DI MEDIOBANCA - E DOPO IL “VAFFA” DEL MERCATO, CHE SUCCEDERÀ? TECNICAMENTE L’OPERAZIONE CALTA-MILLERI, SUPPORTATA DALLA MELONI IN MODALITÀ TRUMP, È POSSIBILE CON UN AUMENTO DI CAPITALE DI MPS DI 4 MILIARDI (PREVISTO PER APRILE) - PER DIFENDERE MEDIOBANCA DALL’ASSALTO, NAGEL DOVRÀ CHIEDERE AL BOSS DI GENERALI, PHILIPPE DONNET, DI CHIAMARE ALLE ARMI I POTENTI FONDI INTERNAZIONALI, GRANDI AZIONISTI DI MEDIOBANCA E DI GENERALI, PER SBARRARE IL PASSO AL “CALTARICCONE” ALLA FIAMMA (FDI)

dario franceschini elly schlein matteo renzi carlo calenda giiuseppe conte

DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ SINTETIZZARE COSÌ: IO CI SONO. E’ INUTILE CERCARE IL FEDERATORE, L’ULIVO NON TORNA, E NON ROMPETE LE PALLE ALLA MIA “CREATURA”, ELLY SCHLEIN, “SALDA E VINCENTE” AL COMANDO DEL PARTITO – AMORALE DELLA FAVA: “SU-DARIO” NON MOLLA IL RUOLO DI GRAN BURATTINAIO E DAVANTI AI MAL DI PANZA INTERNI, CHE HANNO DATO VITA AI DUE RECENTI CONVEGNI, SI FA INTERVISTARE PER RIBADIRE AI COLLEGHI DI PARTITO CHE DEVONO SEMPRE FARE I CONTI CON LUI. E LA MELONI GODE…

almasri giorgia meloni carlo nordio

DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA INDISTURBATO IN EUROPA? AVEVA UN PASSAPORTO FASULLO O UN VISTO SCHENGEN? E IN TAL CASO, PERCHÉ NESSUN PAESE, E SOPRATTUTTO L’ITALIA, SI È OPPOSTO? - LA TOTALE ASSENZA DI PREVENZIONE DA PARTE DEGLI APPARATI ITALIANI: IL MANDATO DI ARRESTO PER ALMASRI RISALE A OTTOBRE. IL GENERALE NON SAREBBE MAI DOVUTO ARRIVARE, PER EVITARE ALLA MELONI L’IMBARAZZO DI SCEGLIERE TRA IL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E LA REALPOLITIK (IL GOVERNO LIBICO, TRAMITE ALMASRI, BLOCCA GLI SBARCHI DI MASSA DI MIGRANTI) – I SOSPETTI DI PALAZZO CHIGI SULLA “RITORSIONE” DELLA CPI E IL PASTROCCHIO SULL’ASSE DEI SOLITI TAJANI-NORDIO

pier silvio giampaolo rossi gerry scotti pier silvio berlusconi

DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E L'INGAGGIO DI GERRY SCOTTI COME CO-CONDUTTORE DELLA PRIMA SERATA DI SANREMO NE È LA PROVA LAMPANTE - CHIAMARE ALL'ARISTON IL VOLTO DI PUNTA DI MEDIASET È IL SEGNALE CHE IL BISCIONE NON FARÀ LA GUERRA AL SERVIZIO PUBBLICO. ANZI: NEI CINQUE GIORNI DI SANREMO, LA CONTROPROGRAMMAZIONE SARÀ INESISTENTE - I VERTICI DELLA RAI VOGLIONO CHE IL FESTIVAL DI CARLO CONTI SUPERI A TUTTI I COSTI QUELLO DI AMADEUS (DA RECORD) - ALTRO SEGNALE DELLA "PACE": IL TELE-MERCATO TRA I DUE COLOSSI È PRATICAMENTE FERMO DA MESI...

elon musk sam altman

NE VEDREMO DELLE BELLE: VOLANO GIÀ GLI STRACCI TRA I TECNO-PAPERONI CONVERTITI AL TRUMPISMO – ELON MUSK E SAM ALTMAN HANNO LITIGATO SU “X” SUL PROGETTO “STARGATE”. IL MILIARDARIO KETAMINICO HA SPERNACCHIATO IL PIANO DA 500 MILIARDI DI OPENAI-SOFTBANK-ORACLE, ANNUNCIATO IN POMPA MAGNA DA TRUMP: “NON HANNO I SOLDI”. E IL CAPOCCIA DI CHATGPT HA RISPOSTO DI PETTO AL FUTURO “DOGE”: “SBAGLI. MI RENDO CONTO CHE CIÒ CHE È GRANDE PER IL PAESE NON È SEMPRE OTTIMALE PER LE TUE COMPAGNIE, MA NEL TUO RUOLO SPERO CHE VORRAI METTERE PRIMA L’AMERICA…” – LA GUERRA CIVILE TRA I TECNO-OLIGARCHI E LE MOSSE DI TRUMPONE, CHE CERCA DI APPROFITTARNE…