BANDIERA GIALLA CELEBRATION - ARBORE: ''DOPO LA SWINGING LONDON LANCIAMMO LA SWINGING ROME (E LUCIO BATTISTI)'' - BONCOMPAGNI: ''OGGI PER CERTI CANTANTI CI VOGLIONO GLI ARRESTI DOMICILIARI'' - QUESTA SERA PUNTATA SPECIALE DI WEBNOTTE SU REPUBBLICA.IT - - - -

50 anni fa il debutto del programma radiofonico, Boncompagni: “Il titolo? Bandiera gialla era la bandiera che si metteva sulle navi quando c’erano gli appestati” - Arbore: ''Battisti aveva scritto bellissime canzoni con Mogol per i Dik Dik e non voleva cantare, diceva di avere una brutta voce, gli mettemmo in mano una chitarraccia. La prima volta si esibì a Bandiera gialla''...

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1. L’APPUNTAMENTO

Da “repubblica.it”

 

Questa sera puntata speciale di Webnotte dedicata ai cinquant’anni di “Bandiera gialla”. Appuntamento alle 21 su Repubblica.it in diretta dal Forum, lo storico studio di registrazione, a Roma, nel quale sono state scritte pagine importanti della musica italiana.

 

Con Gino Castaldo e Ernesto Assante ci saranno Arbore e Boncompagni, e poi Shel Shapiro, Mal, Patty Pravo, Fausto Leali, la band di Mark Hanna, Saverio Raimondo e i testimoni del tempo: Roberto D’Agostino, Dario Salvatori, Mita Medici. In scaletta anche video, rarità e sorprese. La puntata in replica su Radio Capital Tv venerdì 16 alle 21

 

2. BANDIERA GIALLA 50: “CON LA RADIO INVENTAMMO I GIOVANI”

Silvia Fumarola per la Repubblica”

 

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A tutti i maggiori degli anni 18, a tutti i maggiori degli anni 18, questo programma è rigorosamente riservato ai giovanissimi...”. Lo slogan di Bandiera gialla era una dichiarazione d’intenti: il programma radiofonico che il 16 ottobre 1965 fece scoprire ai ragazzi la musica americana e le minigonne, una rivoluzione del costume, festeggia 50 anni.

 

Raccontato dai due protagonisti, un’esperienza esilarante, con Renzo Arbore che ricorda com’era divertente «lanciare i dischi e le mode della swinging London» e Gianni Boncompagni che non ha dubbi: «I cantanti di oggi? Tutti agli arresti domiciliari, così non possono fare danni. Sono spaventosi».

 

I corsari Arbore e Boncompagni a metà degli anni 60 scompigliano la Rai di Ettore Bernabei, aprono le porte di via Asiago ai giovanissimi che non ascoltavano la radio. «Io e Gianni, due veri sciagurati» racconta Arbore, «ci eravamo rincontrati a settembre dopo aver vinto un concorso di maestri programmatori per la radio con l’idea di fare una trasmissione di musica moderna. La proposta fu discussa dalla direzione della radio, allora guidata dal maestro Giulio Razzi e successivamente affidata a Leone Piccioni, ma determinante fu Luciano Rispoli, che per superare le diffidenze propose di chiamare il programma Bandiera gialla ».

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«Era quella che si metteva sulle navi quando c’erano gli appestati...» sogghigna Boncompagni «Grande intuizione, ci davano via libera». «Veramente» riprende Arbore «avevamo pensato a un titolo in inglese. Ma quella bandiera, grazie anche alla complicità di Maurizio Riganti, ci permetteva di arginare le regole che affliggevano un disco. Non potevi passarlo nella stessa trasmissione se non ogni 15 giorni per evitare che i discografici potessero corrompere i conduttori, allora escogitammo di presentare in ogni puntata quattro gruppi di tre canzoni che venivano votate».

 

«All’inizio non pensavamo di fare una rivoluzione» aggiunge Boncompagni «però si parlava molto del programma: avevamo “inventato” i giovani, categoria che non era considerata. Prima i programmatori erano anziani, io che venivo dall’estero - ero stato dieci anni in Svezia- avevo una visione diversa, ero abbonato a Billboard , forse l’unico italiano. Prendevamo i pezzi nuovi e li mettevamo in gara tra di loro».

 

La sigla T-Bird era eseguita da Rocky Roberts che Arbore aveva conosciuto a Napoli nel locale dove suonava mentre faceva il soldato. L’orgoglio è aver sprovincializzato la musica italiana, aver fatto conoscere nuovi artisti; Nancy Sinatra cantava These boots are made for walkin ’ e le italiane si dotavano di stivaletti.

BONCOMPAGNI BANDIERA GIALLA BONCOMPAGNI BANDIERA GIALLA

 

«Lucio Battisti» ricorda Arbore «aveva scritto bellissime canzoni con Mogol per i Dik Dik e non voleva cantare, diceva di avere una brutta voce, gli mettemmo in mano una chitarraccia per far sentire i brani che aveva composto. La prima volta si esibì a Bandiera gialla e decise di cantare come faceva lui».

 

Tra i ragazzi che nel ‘65 affollavano gli studi di via Asiago c’erano figli di dirigenti Rai, ma anche Mita Medici, Renato Zero, Giancarlo Magalli, Valeria Ciangottini, Barbara Palombelli, Clemente Mimun.

 

Boncompagni e Arbore negli studi di Radio Boncompagni e Arbore negli studi di Radio

«Da noi si vedevano i primi capelli lunghi, le minigonne» racconta Arbore «dopo la Swinging London lanciammo la Swinging Rome grazie al Piper, il locale creato da Crocetta e Bornigia, i giornali ci seguirono. Non sapevamo come definire questa musica: allora si chiamava yé-yé, era figlia del rock‘n’roll, in America rientrava nella pop music, noi scartammo pop e io proposi a Gianni di rubare l’etichetta “beat”.

 

Boncompagni ee Renzo Arbore Boncompagni ee Renzo Arbore

La beat generation era quella di Ferlinghetti, Kerouac. Telefonammo a Marcello Mancini, direttore della rivista musicale Big e lo sventurato ci disse sì. Così beat divenne l’etichetta più di moda, c’era la ragazza beat, la protesta beat: tutto quello che era curioso diventava beat. I ragazzi svegli che cercavano novità erano beat, chi non era giovane veniva chiamato “Matusa” o benpensante.

 

BATTISTI BATTISTI

Bandiera gialla segnò un cambiamento culturale. Abbiamo lanciato i Beatles contro i Rolling Stones, i complessi li abbiamo battezzati tutti. Approfittando della scarsa conoscenza dell’inglese mettevamo anche canzoni con doppi sensi, allora inconcepibili per la radio, tipo Got my mojo workin di Jimmy Smith, che voleva dire “porto il mio cosino a lavorare”».

 

BATTISTI E MOGOL BATTISTI E MOGOL

«Oggi non s’inventa più niente» dice Boncompagni «gli stadi si riempiono con nomi orrendi, non ci sono mica i Beatles e loro, i giovani del cavolo, cantano canzoni senza senso. Quelli degli anni 60 erano spaventosi ma l’Italia era molto indietro. Quando dico che per certi cantanti ci vogliono gli arresti domiciliari così non fanno danni non deve ridere. Deve darmi retta».

 

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