Davide Casati per il Corriere della Sera
«Le forze in azione non si curano di quanto facilmente ci adatteremo al cambiamento. La trasformazione avverrà in ogni caso. Possiamo fare quel che dobbiamo per adattarci, o non farlo. Ma chi resisterà al cambiamento sarà messo da parte e dimenticato». Era il 7 aprile del 2015 quando il direttore del Washington Post , Marty Baron, usò queste parole per descrivere agli studenti della University of California quello che stava avvenendo al mondo del giornalismo. Due anni più tardi - un tempo infinito, nel vortice della rivoluzione digitale - quelle frasi continuano a suonare come un ammonimento, e un pungolo, a chiunque si occupi di comunicazione, non solo negli Stati Uniti.
Perché a cambiare non è stato solo il mezzo attraverso il quale vengono distribuite le notizie: ma anche il numero di protagonisti della loro produzione e diffusione. È di una parte sempre più significativa di questo nuovo scenario che si occupa Professione brand reporter (Hoepli, pp. 278, euro 24,90), scritto da uno dei veterani della comunicazione d' impresa in Italia, Carlo Fornaro, e dalla giornalista e comunicatrice Diomira Cennamo. Un testo che parte, ci spiega Fornaro, da una constatazione: «Le nuove tecnologie hanno fatto in modo che ogni azienda possa trasformarsi in media company».
Attenzione: non solo i giornali o i canali tv, ma tutte le aziende - dai produttori di bevande a quelli di petrolio, dalle squadre di calcio ai mobilifici - possono entrare in un campo che un tempo era loro precluso. Di più: lo stanno già facendo; e grazie ai social network, canale al quale sempre più persone si abbeverano di notizie, svolgono di fatto una funzione di comunicazione.
Il libro - per sistematicità, chiarezza e praticità - è una guida fondamentale a un mondo sì di confine («il solo accostamento dei termini brand e reporter fa accapponare la pelle a molti puristi del settore»), ma che è già qui: e che merita dunque di essere analizzato e indirizzato.
Quali strategie deve mettere in atto un giornalista al lavoro per un' azienda non editoriale? Quali tecniche utilizzare, a quali prin-cipi etici e deontologici attenersi?
I molti esempi descritti nel testo - positivi, ma anche fallimentari - danno la misura della vastità raggiunta dal brand journalism, della complessità di una comunicazione che viene sottoposta a un vaglio severo da parte del pubblico, e del potenziale contributo che reporter al lavoro in aziende che nulla hanno a che fare con le tradizionali media company sono in grado di offrire. Uno sfregio, per il giornalismo tradizionale?
Tutt' altro, secondo Fornaro: «Il nostro è un atto d' amore nei confronti dei giornalisti, di coloro che raccontano storie e lo fanno con talento». Tanto che - e il testo lo spiega, di fatto, ad ogni pagina - le competenze giornalistiche devono essere pienamente al lavoro anche nella comunicazione d' impresa.
Meglio, la stanno già trasformando, rimettendo al centro dell' attenzione l' utente: nei confronti del quale va scrupolosamente messa in campo trasparenza, e al quale va sempre offerta una comunicazione onesta, e utile. La trasformazione - quella di cui parlava Baron - è in corso: nel mondo in cui i giornalisti si trovano a operare, e in quello attraverso il quale i lettori fruiscono le notizie.
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Conoscerne i territori più nuovi, e farlo con una mappa affidabile, è un passo fondamentale, per continuare a muoversi.