I BUCCHI NERI PRENDONO COLORE - IL GENIALE VIGNETTISTA DI ''REPUBBLICA'' RACCOGLIE LE SUE OPERE IN UN LIBRO, PER LA PRIMA VOLTA A COLORI: ''È UNA COMPENSAZIONE PER LO HUMOR NERO CHE LE ACCOMPAGNA. NELL'UMORISMO IL PROTAGONISTA È SEMPRE UN PERDENTE. E IN QUESTO CASO I PERDENTI SIAMO NOI''

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Gregorio Botta per ''la Repubblica''

 

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La prima vignetta nacque a Repubblica, per caso. «Non so perché me la chiesero, io fino ad allora facevo solo il grafico. Ma c' era lo sciopero dei piloti, e forse non avevano foto. Così mi dissero: Massimo, pensaci tu. Disegnai un aeroplano rovesciato, come un animale morente: sopra di lui un pilota con il fucile in mano che esibiva il suo trofeo abbattuto. Mi ricordo che la vignetta fu persino ripresa da Stampa Sera ». Era il maggio del 1976, e Massimo Bucchi aveva finalmente incontrato la sua vocazione.

 

Fino ad allora ci aveva girato intorno senza sapere dove sarebbe approdato: da ragazzo cronista politico all' Avanti! («ma non capivo niente dei consigli comunali che seguivo»), poi un passaggio nelle agenzie di pubblicità, infine l' approdo nell' editoria, come art director alla Mondadori a Verona. Stampa, comunicazioni, immagini: destino, evidentemente.

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Quarant' anni e sedicimila vignette dopo («Ne faccio circa quattrocento l' anno. È un calcolo approssimativo e forse per difetto, viste tutte quelle che scarto»). Bucchi ha deciso di dare alle stampe un libro definitivo, approdo finale di una vita passata a cercare l' immagine e la battuta giusta per illuminare con un lampo di intelligenza le nostre giornate. È una summa, un libro conclusivo: «D' ora in poi vorrei dedicarmi ad altro», dice, «magari a scrivere di più. Ma tranquilli, non rinuncerò alla vignetta quotidiana nella pagina dei commenti ».

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Sulfureo, geniale, impudente: in questi quarant' anni lo spirito di Bucchi è rimasto lo stesso, tutto il resto è cambiato. Disegnava, ma ha via via abbandonato matita e pennarelli. Ha inventato un linguaggio e una tecnica che è diventata la sua cifra: navigando nel grande mare della società delle immagini, ne pesca quelle che gli servono, le forza, le elabora e le violenta fino a ottenere l' effetto desiderato. Le potremmo definire collage virtuali.

 

Photoshop e tutti i programmi simili che proliferano nel web lo hanno aiutato molto: «Fin troppo, non sai quante possibilità offrono di manipolare un disegno. Faccio infinite versioni, delle volte passo anche due giorni per trovare quella finale».

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L' approdo al colore era inevitabile: per uno che è nato in bianco e nero è un salto in un nuovo universo di possibilità. Questo libro è - per la prima volta - un' esplosione di blu, rossi, gialli eccessivi, lucenti, psichedelici. Quasi una compensazione dell' humor nero che li accompagna.

 

S' intitola Mappamondo, ma chiaramente è un mondo che a Bucchi non piace. Soprattutto non gli piace quello che verrà. Tirannosauri, carri armati, bombe che piovono dal cielo e Titanic che affondano si inseguono in un immaginario che illumina l' apocalisse prossima ventura. Ecco la prima vignetta del libro: la terra è in bilico su una porta socchiusa, appena sarà aperta crollerà. La didascalia è una profezia: "Ingresso nel millennio". «Humor nero? Certo», dice. «Viviamo in un mondo minaccioso, pericoloso, è impossibile non vederlo. Ricordati che nell' umorismo il protagonista è sempre un perdente. E in questo caso i perdenti siamo noi».

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Il ritratto del futuro è caustico: fossero dipinti sui muri delle città questi disegni avrebbero la stessa efficacia dei murales di Banksy. Sono manifesti che in una sola immagine svelano l' evidenza nascosta del nostro mondo: icone contemporanee illuminate di una luce diversa e sinistra. In fondo Bucchi è un omeopata: cura la malattia sociale con il suo stesso veleno.

 

Tutte le vignette sono accompagnate da un titolo che ne racchiude e moltiplica il senso. Un esempio? Tre cowboy pronti al duello in un paesaggio post-nucleare dai colori acidi. Titolo: Il ritorno di Cherno Bill. Fulminante.

 

E qui affiora l' altra anima di Bucchi, speculare e opposta a quella del pessimista melanconico. Uno spirito ludico, allegro, irriverente: un folletto imprevedibile e lunare, autore di scherzi memorabili, capace di tutto per amore di una battuta. Chi ci ha lavorato insieme la conosce bene. Bucchi è il joker che rovescia il senso comune con un piccolo tocco di genio: come la meravigliosa Casa Mondrian che vedete nella pagina accanto. La serie dedicata all' arte è sublime: le tre grazie fanno sesso nel letto di Van Gogh, la Gioconda diventa una escort grazie alla didascalia che indica il numero di telefono, e infine le improbabili Nozze Bernini- Hopper dove un uomo dipinto dal pittore americano siede sullo stesso letto di Santa Teresa d' Avila. Siamo nel mondo felice dell' assurdo.

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Bucchi è un amante dell' arte e naviga da maestro tra le sue visioni. D' altronde uno come lui deve avere una memoria visiva mostruosa. È un collezionista di visioni. «Lo sono davvero: ho un archivio di cinquantamila immagini. Ma sono troppe: è come non averne nessuna. Anche perché le catalogo in cartelle di cui non capisco più l' ordine e il senso». Dunque la caccia riparte ogni giorno da zero: pensate cosa deve essere disegnare una vignetta al giorno. Tutti i giorni, tutto il giorno in servizio permanente effettivo. «È un lavoro che non finisce mai: hai mandato la vignetta al giornale, sei fuori a cena, ma hai un' idea migliore, che fai? Non puoi tenertela. Saluti, torni a casa, e mandi l' ultima versione».

 

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La folgorazione arriva quando vuole: Bucchi deve stare lì, sempre sintonizzato, in attesa che precipiti nella sua testa. «È proprio così, all' inizio era come accendere una radio immaginaria e girare la manopola fino a quando non arrivava l' ispirazione giusta. Con il tempo qualcosa è cambiato: ho imparato dove andare a cercare». Si è dato un metodo: compra una risma di fogli da fotocopia, la fa fascicolare e la usa per appuntare ogni cosa che gli viene in mente.

 

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«Ogni tanto torno a quei blocchi, e magari riscopro battute che avevo scartato e che invece hanno assunto un' attualità nuova, insperata». Ne ha raccolti, finora, trenta. Sarebbe bello poterli sfogliare: chissà quante rivelazioni sul nostro oscuro mondo contengono.

 

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