Marco Giusti per Dagospia
Cannes 2018. Chi vince? Mah. Mi dicono Capernaum di Nadine Labaki, perché Cate Blanchett e i suoi giurati spingono per la vittoria di una regista donna e questo film libanese ha la giusta dose di acchiapponismo sociale, bambini maltrattati, lacrime. Lo avevano venduto in tutto il mondo già all’inizio del Festival. Magari, se è vera questa tesi della regista donna, anche Lazzaro felice di Alice Rohrwacher potrebbe vincere qualcosa, inoltre offre l’immagine dell’Italia miserabile anni ’50 che piace tanto all’estero. Peter Bradshaw, ad esempio, la segnala come possibile vincitrice.
Mentre per i premi maggiori, quelli cioè destinati ai film buoni ma un po’ meno piacioni, la guerra è tra Burning del coreano Lee Chan dong, incredibile melo costruito a partire da un racconto di Murakami, Shoplifters di Hirokazu Kore-eda, forse il film meglio costruito di tutti, una macchina di ingegneria cinematografica, Cold War di Pawel Pawlikoswski, bellissimo bianco e nero su un amour fou durante la Guerra Fredda. Blackkklansman di Spike Lee sarà sostenuto dagli americani, ma non da i giurati europei.
Dogman di Matteo Garrone sembra che abbia contro una parte di giuria, e inoltre soffre della campagna anti-violenza nei film che si è scatenata con la visione del poro The House That Jack Built. Potrebbe però ottenere il premio per la miglior regia.
Qualcosa potrebbe ottenere anche Leto di Kiril Sebrennikov, che era un film meraviglioso. La miglior sceneggiatura potrebbe anche andare a The Wild Pear Tree dell’abbonato di Cannes Nuri Bilge Ceylan, il finto Antonioni turco. Tra gli attori tutti indicano come protagonista maschile o Yoo Ah-in per Burning, o il nostro Marcello Fonte per Dogman. Sarebbe davvero clamorosa la vittoria di Marcellino, tipo quella di Ilenia Pastorelli ai David per Jeeg Robot.
protesta delle donne del cinema a cannes
Non lo ha shampato nemmeno Roberto D’Antonio… Tra le attrici se la battono la cinese Zhao Tao per Ash Is Purest White di Jian Zhang ke e Joanna Kulig per Cold War. Favolose. Metterei anche la nonna del film di Kore-eda. Così le voci. Intanto la giuria di Un Certain Regard, presieduta da Benicio Del Toro ha premiato come Miglior Film il folle fantascientifico Grans del’iraniani Ali Abbasi, che era anche il film più originale.
Premio della Giuria al messicano The Dead and The Others di João Salaviza e Renée Nader Messora. Miglior regista Sergei Loznitsa per Donbass, che aveva aperta la sezione, e poteva benissimo gareggiared nel concorso. Miglior attore Viktor Polster, il ragazzo/ragazza ballerina di Girl del belga Lukas Dhont. La Miglior Sceneggiatura va invece a Meryem Benm’Barek per Sofia. Giuria serissima. Nulla all’italiano Euforia o Euphoria di Valeria Golino.
la giuria di cannes 2018 presieduta da cate blanchett
Seconda domanda. Che festival è stato? Un mezzo disastro. E’ vero. Tra il problema dei film Netflix, quest’anno bocciati sulla croisette, che ha svuotato il concorso. Tra un appoggio, anche giusto, al #metoo, dopo anni nei quali abbiamo visto tutti quanto spadroneggiasse Harvey Weinstein su film, donne e festival stesso. Come se fosse tutta roba sua. Rimontando anche i film a capocchia. Così facendo abbiamo avuto una folle prima settimana sobria, ma con film impossibili per la stampa meno di nicchia, dal lebbroso egiziano ai lazzari felici, mentre sul red carpet sfilavano modelle e bellone varie in netto contrasto con quel che si vedeva sullo schermo. Inoltre metti il divieto i selfie?
Proprio con le star strapagate dagli sponsor del lusso del festival che sfilano proprio per quello? Mah… Tra la splendida idea di far vedere i film al pubblico contemporaneamente ai critici per non avere i commenti infami a caldo. Uccidi la critica così, la umili. Obblighi i criticoni dei giornali a scrivere rapidamente (e non lo sanno fare). Inoltre i commenti infami arrivano comunque se hai un film di merda. E i dieci minuti di applausi finali in sala grande te li saresti comprati comunque inzeppando di claque della produzione la sala. Come si fa regolarmente. Tutto questo ha portato alla fuga di una bella fetta di giornalisti, che hanno svuotato gli alberghi, che infatti avevano parecchie stanze libere, e ridotto le notizie.
Forse meglio dopo tutte le cazzate che ho letto riguardo ai film italiani, tutti troppo esaltati, c’è perfino chi paragona Garrone a Caravaggio, e soprattutto riguardo a un regista come Lars von Trier, definito un “bidone”, reo di seguitare a fare film eccessivi in piena libertà che non sempre i giornalisti, soprattutto i fofiani, capiscono. Non solo, il disatro mediatico di The House That Jack Built di Lars von Trier, che purtroppo non ho visto ma che difendo conoscendo i suoi film precedenti, è pericoloso, perché spingerà verso una censura preventiva un festival come Cannes, di solito libertario e aperto agli eccessi.
Proprio nell’anno del #metoo, trovo assurdo che vengano scelti per il concorso film troppo politicamente corretti, mentre opere coraggiose e trasgressive finiscono piazzate fuori, penso a Climax di Gaspar Noé oltre allo stesso Lars von Trier. Tutto questo fa parte della contraddizione di questa Cannes che, soprattutto, nella prima settimana ha portato a uno svuotamento, mentre nella seconda, grazie a film come Blackkklansman, Burning, Dogman, The House That Jack Built, ha ritrovato un po’ il filo del cinema di eccesso e passione che un festival come questo, nel bene e nel male, non deve perdere.
Altrimenti critici e giornalisti di che scrivono? Devi darmi qualche bomba. Fosse anche quella dei cento spettatori che se vanno dalla sala per colpa degli squartamenti di Lars von Trier. Altrimenti rimaniamo tutti lì, lazzari felici, a vedere i compitini mal fatti di registi che non hanno la forza e il coraggio di costruire trame fuori dagli schemi. E a parlare inutilmente bene di film che in sala non faranno una lira e non rimarrano neanche nella storia.