Marco Giusti per Dagospia
Momenti di trascurabile felicità di Daniele Luchetti
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Che bella la vita di tutti i giorni, la normalità, la famiglia. Non è tutto quello che vogliamo? Ma ce ne accorgiamo solo quando tutta questa felicità quotidiana rischiamo di perderla. Rispetto all’omonimo romanzo di Francesco Piccolo da cui è tratto, Momenti di trascurabile felicità in versione film diretto da Daniele Luchetti, che lo ha scritto assieme a Piccolo, e interpretato da Pif, diventa un’altra cosa.
Intanto si trasforma in uno stravagante thriller a tempo. Prendendo spunto dal celebre D.O.A., ma più dalla versione più recente del 1988 diretta da Annabel Jankel e Rocky Morton con Dennis Quaid che da quella ultraclassica del 1953 con Edmond O’Brien, e togliendogli la spinta gialla, anche qui il protagonista Pif, tecnicamente, è già morto, è un D.O.A., un cadavere in arrivo (Dead On Arrival), e ha un breve tempo a sua disposizione, un’ora e 32 minuti, la durata di un film, per fare i conti con la sua vita.
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Ma non deve scoprire come nei vari D.O.A. chi lo ha avvelenato e perché o cercare un antidoto. E’ morto in un banale incidente stradale passando in scooter col rosso per le strade di Palermo. E una specie di angelo, il grande Renato Carpentieri, gli spiega che per l’uso accorto delle centrifughe (è così…), gli rimane un po’ di tempo per salutare l’ultima volta i suoi, la moglie, Thony, e i i due figli.
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O ripensare alle tante donne della sua vita. Ai suoi errori. Magari riesce anche a vedere in tv un po’ di Palermo-Ternana, col la sua squadra, il Palermo, che sta per andare in serie A. E’ in questo tempo, che Pif, uomo medio con difetti e virtù da uomo medio, dovrà capire quali sono le cose davvero importanti della sua vita. Tutto questo, visto che siamo a Palermo, che la voce narrante è ovviamente quella del protagonista, che il tono è quello dei suoi film da regista, si trasforma ovviamente anche in un film di Pif.
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E Luchetti, da sceneggiatore e da regista, con l’ausilio dello sguardo poco paziente di Carpentieri e delle belle musiche di Franco Piersanti, ma c’è pure il “Voglio vivere così” di Ferruccio Tagliavini, si trova a mediare con molto tatto e intelligenza tra il maschilismo dilagante da sceneggiatore di Piccolo e quello da protagonista di Pif. Ne viene fuori una commedia che un tempo si sarebbe detta alla René Clair o alla Frank Capra, dove l’elemento fantastico serve per smorzare il realismo della situazione drammatica e in questo caso anche per puntare senza retorica sulla bellezza della vita di tutti i giorni.
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Rispetto ai tanti film italiani su maschi che si relazionano a altri maschi, almeno questo di Luchetti mette sulla graticola il maschilismo egoriferito di Piccolo e Pif. E lo fa con divertimento e ironia. Ambientandolo in una Palermo finalmente senza mafia, quasi moderna. In sala da oggi.
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