Marco Giusti per Dagospia
Alla faccia di Putin e della sua guerra, ma anche dei tanti film che stanno arrivando sulla tragedia delle povere mogli sfigate di grandi artisti gay o mezzo gay, vi segnalo il lungo, complesso, commovente e ultrapolitico “La moglie di Tchaikowski” (“Zhena tchaikovskogo") del regista dissidente russo Kirill Serebrennikov, autore già di due film bellissimi, “The Student” e “Summer”, e che sta terminando un ricchissimo “Limonov”, tratto dal libro di Emmanuel Carrere, girato, come questo, lontano dalla Russia.
“La moglie di Tchaikovsky" venne celebrato a Cannes, ricordo, da un’ovazione finale in sala che lo ripagò dalle critiche un po’ freddine di molti critici blasonati americani e inglesi, mentre la sua favolosa protagonista, Alyona Mikhailova, che interpretava appunto Antonina Miljukova, la sfortunata moglie del compositore russo, scoppiava a piangere calde lacrime.
Confesso che già ero pazzo del vecchio film di Ken Russell,“The Music Lovers”, 1970, con Glenda Jackson come Antonina e Richard Chamberlain come Tchaikovski, da noi tradotto come “L’altra faccia dell’amore”, che toccava perfettamente l’argomento, cioè che lui, il genio, l’aveva sposata, ma era gay, e non riusciva proprio a farglielo capire né a scoparla (ricordate la grande scena in treno dove lei cerca di farselo in tutti i modi?) e questo porterà lei al manicomio. Non avevo visto allora, invece, la versione russa di Igor Talankin, “Una pioggia di stelle”, 1970, col grande attore russo Innokentiy Smoktunovskiy, ma dove il ruolo di Antonina, interpreta da Liliya Yudina deve essere stato di molto compresso e dove non so quanto si alludesse all’omosessualità di Tchaikovsky.
Ora, sapendo, quanto Putin e tutta la sua cerchia odino l’omosessualità, non credo che questo ritratto del matrimonio sbagliato del genio russo possa aver fatto loro piacere. Se i due precedenti film sono costruiti sul libro della baronessa Von Meck, grande mecenate del compositore, questo riprende molto dall’autobiografia che la stessa Antonina scrisse dal manicomio e parte della biografia scritta dal fratello di lui, Modesto.
Serebrennikov centra subito il problema e parte da qualcosa che non sapevamo. Cioè che i diritti e la stessa identità di una donna, nella Russia della fine dell’800, non esistevano, lei era solo un nome sulla carta identità del marito. Anche per questo Antonina non accetta in nessun modo il divorzio, rimanendo per sempre la moglie di Tchaikovsky. Ora. Lui, interpretato da un chiuso e realistico Odin Lund Biron, quando accetta di sposarla, un po’ per la promessa di una certa cifra, 10 mila rubli, che lei otterrà in dote dalla famiglia dalla vendita di un pezzo di foresta (ma non la otterrà), le spiega bene la cosa. Io non sono mai stato con una donna, saremo come fratelli. E gliela spiega ancora meglio un costumista d’opera amico, Scappa subito!
Ma lei si è costruita un’opera da melodramma nella testa e ha la convinzione che basterà qualche mossa per fargli cambiare idea sulle donne e farselo. Ma tutto questo provocherà solo la fuga immediata di lui. Glielo spiega Sasha, la bella sorella drogata di lui, Ekaterina Ernishina, il fratello è un “bougro”, e non ci vuole molto a capire che voglia dire. Trovati un altro marito. Non tornerà più. Ma lei non demorde. E intanto si butta sul sesso. Si scopa il suo avvocato. Il costumista la chiude in una stanza con una decina di maschi aitanti nudi e attrezzati e lei dovrà solo sceglierne uno come marito e lei si chiude a chiave con tutti loro per dare vita a un’orgia.
Se pensate che il film sia meno scatenato di quello di Ken Russell, sbagliate. Non è così. Dopo una prima parte molto classica e più narrativa, a un certo punto partono delle complicatissime riprese in piano sequenza che descrivono lo scivolamento nella non-accettazione di Antonina e uniscono situazioni diverse dove lei si perderà sempre di più.
A cominciare dall’incredibile scena della fuga di lui in treno, da solo, mentre lei rimane a fissare una superficie specchiante e una serie di soldati la guardano. Tutta la seconda parte del film è un delirio di messa in scena e di melodramma. E’ vero che non c’è un vero rapporto fra i due personaggi, lui cerca da subito solo di scappare avendo capito lo sbaglio che ha fatto, ma il film non è su quel rapporto, ma solo nell’evoluzione del personaggio di Antonina, sempre più attaccata a un sentimento che lei stessa si è costruito e a un nome che la definirà per sempre anche dopo morta. “Il genio si può permettere tutto”, dice prima di chiudersi coi maschi col pisello di fuori.
Anche la moglie di un genio si potrà permettere tutto. Tchaikovsky se la ritrova anche da morto davanti alla sua bara e non può fare altro che svegliarsi e cercare di mandarla via. In un momento di guerra, di azzeramento delle identità di civili e soldati mandati a morire, di totale omofobia putiniana, il film acquista un valore molto più forte di quanto ci potessimo aspettare. Grande film. Prodotto, ovviamente dai francesi. In sala.