Marco Giusti per Dagospia
E’ faticoso fare cinema in Italia. Soprattutto se non fai commedia e cerchi un tuo spazio personale in quello che un tempo era chiamato cinema d’autore. E’ faticoso anche fare il padre o diventare padre. Come accade a Paolo, Luca Marinelli, il ragazzo che si ritroverà a diventar padre, anche se è gay, di una bambina che non è neanche sua, ma della svitata Mia, Isabella Ragonese, incinta di sei mesi, chissà da chi poi?, nel bel film di Fabio Mollo, Il padre d’Italia, opera seconda dopo un buon esordio, Il sud è niente, selezionato a Berlino nel 2013.
Quando in un film si viaggia, da Nord verso Sud in un’Italia martoriata come la nostra, come se fosse l’India di Rossellini, un film funziona quasi sempre. E va detto che, Film Commission a parte, anche qui nel viaggio e nello sviluppo dei caratteri dei due protagonisti, grazie anche alla luminosità di due attori bravi e seri come Luca Marinelli e Isabella Ragonese, il film di Mollo riesce a toccarci.
Paolo esce da una storia d’amore conclusa male, ha un passato di bambino abbandonato dalla madre cresciuto in un orfanotrofio dalla quale è difficile uscire. Mia è una ragazza calabrese che si sposta tra Torino e Roma dietro a piccoli sogni, vive alla giornata, e si ritrova incinta senza sapere davvero che fare della propria vita. Sia Mia che Paolo fanno parte di una generazione italiana che sembra senza futuro, non tanto per il proprio passato quanto per un presente inconsistente che non offre nessuna possibilità di crescita o di sviluppo.
Pochi film hanno mostrato, in questi ultimi anni, un quadro così desolante dei trentenni italiani sparsi in un paese disastrato e abulico. Così, quando Mia, incontrata per caso in un locale, sveglia Paolo e gli chiede di portarla a Roma e poi in Calabria, Paolo non vede l’ora di uscire dal proprio torpore e di sognare addirittura una famiglia con lei e la bambina che nascerà.
Costruito con un occhio al cinema moderno internazionale, meno male, Il padre d’Italia, muove i suoi personaggi non solo in un’Italia che non c’è più, con una borghesia scomparsa di scena da anni, ma anche in un cinema italiano che non offre più appigli da dove ricominciare. Rossellini è davvero lontano. Marinelli, anche se corre il rischio di diventare un Timi bis passando dall’Anna Oxa di Jeeg Robot alla Berté, e Ragonese, con tanto di pancia finta e capelli rosa, sono bravissimi nei loro rispettivi ruoli.
Mollo li segue con amore nei loro sbandamenti sentimentali e emotivi. Avremmo magari voluto un po’ più di complessità di sceneggiatura, ma la regia ha un suo stile, come la fotografia di Daria D’Antonio e le musiche di Giorgio Giampà. E il problema maggiore rimane in qualche modo esterno al film, cioè la totale mancanza di un cinema d’autore nel nostro paese ridotto a produrre solo commedie non si capisce neanche bene per chi. In questo è un film davvero orfano. In sala da giovedì.