Marco Giusti per Dagospia
Siamo stati tutti un po’ frettolosi a Venezia. Perché Desde alla, opera prima del venezuelano Lorenzo Vigas, che esce adesso come Ti guardo in mezzo alla lunga coda di Checchi Zaloni e di grandi film da Oscar, era qualcosa di più importante di quanto pensassimo allora vedendolo al festival. Non che non dovesse vincere il Leone d’Oro, ma ci sembrò un po’ a tutti, un eccesso.
Mai si era visto un film venezuelano a Venezia (o no?), e ora finiva per vincere in barba a tutti i Bellocchio del mondo. Io stesso scrissi che si meritava sicuramente il premio per l’opera prima, ma non avrei mai pensato al Leone. Eppure il primo premio di Venezia andava a ricompensare non tutta una filmografia che ci è ancora del tutto sconosciuta, ma il grande stato di grazia del cinema sudamericano di lingua spagnola, messicano, cileno, argentino.
In qualche misura Ti guardo o Desde alla, malgrado quello che abbia detto Vigas, che cioè si è mosso tra Pier Paolo Pasolini, per il tema, e Robert Bresson, per la forma, è davvero un film della nuovisisma nouvelle vague sudamerica. Lo è perché è scritto da Vigas assieme al messicano Guillermo Arriaga, perché è prodotto da Edgar Ramirez, il protagonista di Carlos, e dal messicano Gabriele Ripstein, figlio di Arthur Ripstein, perché il protagonista è il cileno Alfredo Castro, il grande attore di Pablo Larrain.
E lo stesso regista, che vive ora a Città del Messico, è proiettato verso un cinema sudamericano autoriale da grande esportazione, seguendo così le orme di affermati maestri come Alejandro inarritu, Alfonso Cuaron, Guillermo Del Toro e così via. Vigas, che prima era un biologo e che è arrivato al cinema non giovanissimo, ma per precisa scelta artistica, ha belle inquadrature, una composizione di racconto rigorosa, una direzione degli attori precisa.
Oltre a Alfredo Castro, nel ruolo di un dentista, anzi di un odontotecnico, tale Armando Marcado, che adesca i ragazzetti nel centro di Caracas, li fa spogliare, ma si limita a masturbarsi, c’è un giovane non-attore pasoliniano realmente preso dalla strada, il notevole Luis Silva, nel ruolo di un ragazzetto che prima fa l’etero, poi finisce con l’innamorarsi perdutamente del dentista.
Ma il dentista ha un blocco, non vuole saperne di fare sesso. Tutto quello che vuole fare è guardare, osservare, da lì, appunto, desde alla. Poi il ragazzo si scopre meno macho di quanto pensasse di essere e si innamora del dentista. Fino a conseguenze pesanti. Ben scritto e ben girato, strutturato dentro inquadrature perfette per un debuttante. Non si tratta solo di vedere il film venezuelano premiato a Venezia con il Leone d’Oro, ma di vedere una grande opera prima che ci apra un po’ la mente verso un cinema meno facile e più profondo del solito. In sala da giovedì.