1. IL FUTURO IN SALA - QUATTRO REGOLE PER SALVARE LA MAGIA DEL GRANDE SCHERMO
Carmine Saviano per “la Repubblica”
Per capire quanto e come sta cambiando la filiera del Cinema e dell' Audiovisivo e con essa la natura delle sale cinematografiche italiane bisogna concentrare lo sguardo su quattro movimenti. Il primo: l' attuazione ancora in corso della legge Franceschini, disposizioni che una volta recepite muteranno in profondità l' assetto normativo del settore. Il secondo: le difficoltà nello stabilire un rapporto "organico" con il pubblico che consenta successi costanti e non legati solo a singole uscite - la "bolla" Zalone o quella di Perfetti Sconosciuti - o a iniziative temporanee come il Cinema2Day. Il terzo: la competizione con le serie televisive. Il quarto: l' affermarsi di nuove modalità di visione dei film, dallo streaming di Netflix e soci in giù.
Quattro dinamiche che hanno ripercussioni sui luoghi tradizionali del cinema. E impongono di ripensare il "futuro urbano" delle 1773 sale e dei 3996 "schermi" in esse contenute. Un futuro che può sfuggire alla ferrea legge del declino (721 strutture in meno dal 2003 al 2014) solo se si mette al centro delle iniziative per rilanciare la settima arte la "fame di cinema" degli italiani.
Secondo le elaborazioni effettuate dalla Ergo Research per Anica, l' Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali, ogni giorno in Italia la visione di un film viene attivata 15 milioni di volte: 9,4 milioni sulla televisione libera, 2,5 milioni sulla pay-tv e 1 milione di volte sulle nuove piattaforme digitali. Come si possono incanalare queste "energie"?
Francesco Rutelli Francesca Cima e Andrea Occhipinti
Come è possibile utilizzare questo desiderio di cinema per mettere in sicurezza il patrimonio rappresentato dalla sale italiane? Come far sì che i 105 milioni di biglietti venduti nel 2016 (+6% rispetto al 2015 per un incasso di 661 milioni di euro) non rappresentino solo un caso ma il punto da cui partire?
«Bisogna partire dall' esperienza che si fa in sala», ci dice Francesco Rutelli, presidente dell' Anica, che oggi dà vita a Il futuro urbano dei cinema, un incontro tra gli esponenti di industriali, produttori, esercenti, artisti, tecnici.
La sala, quindi. Perché «quello è il luogo della magia, è lì che il cinema diventa irripetibile, formativo, culturale. È lì che il cinema aiuta la socialità. Le sale devono tornare ad essere quel Cinema Paradiso messo in scena da Salvatores ». Senza guardare al passato. «Per farle vivere e crescere bisogna rinnovarle. La legge Franceschini prevede degli incentivi, bene. Utilizziamoli anche come occasione di rinnovamento urbano. Il cinema diventi fonte di innovazione nelle nostre città».
Quanti soldi ci sono? I contributi previsti dalla nuova legge sul cinema per la valorizzazione delle sale ammontano a 120 milioni di euro complessivi fino al 2021. A questi sono da affiancare gli altri strumenti dedicati agli esercenti: il tax credit strutturale, quello per la programmazione, i contributi selettivi alle imprese dell' audiovisivo. Tradurre in pratiche efficaci le norme contenute nella nuova legge sul cinema, insomma. Da qui parte l' impegno prossimo futuro dell' Anec, l' associazione degli esercenti italiani.
«Siamo al lavoro per far sì che nei decreti attuativi della legge si traduca il principio di adeguati incentivi per tutte le tipologie di sale, con particolare riferimento per quelle che sono espressione di piccole e medie imprese, per monosale e piccole multisale e per i cinema d' essai», dice Luigi Cuciniello, presidente dell' Anec. Due le proposte principali. Da un lato «il riequilibrio di alcune storture del mercato e in particolare il libero accesso al prodotto per poter offrire al proprio pubblico una programmazione di contenuti varia e interessante (che possa dare la giusta valorizzazione, per esempio, al cinema italiano)».
jeff bezos e reed hastings all assalto di hollywood
Svincolare, insomma, le piccole sale dai calendari delle major. Dall' altro «la messa a punto di adeguati incentivi che possano consentire il costante aggiornamento strutturale e tecnologico delle sale». La sfida è alta: considerare il cinema come centrale per le città tout-court. Forse, nel paese che si dice di Fellini e di Antonioni, di De Sica e di Visconti, è una sfida da prendere sul serio.
2. NETFLIX SI MANGIA LE MAJOR - ORMAI LO DEFINISCONO «IL NEMICO PUBBLICO NUMERO 1». E ATTIRA LE STAR CON PRODUZIONI ORIGINALI: PAGA DI PIÙ E LASCIA PIÙ TEMPO LIBERO. L' ULTIMO SGARRO? SI CHIAMA SCORSESE
Maria Elena Zanini per L’Economia – Corriere della Sera
Licenziamenti, cambi di casacca, colpi bassi...
Che cosa sta succedendo a Hollywood? La Mecca del cinema sta vivendo negli ultimi tempi (in particolare nell' ultimo anno) una piccola rivoluzione che rischia di minare molte delle cer tezze che hanno accompagnato la realizzazione delle più grandi pellicole prodotte. E il responsabile, come al solito, è lui, Reed Hastings, «colpevole» di aver creato nel 1997 Netflix, ossia il «mostro» che sta mangiando Hollywood, come l' ha definita il Wall Street Journal. Un segnale in questo senso è stato dato al pubblico mondiale durante la serata degli Oscar quando sul tappeto rosso hanno sfilato produzioni sia di Netflix sia di Amazon.
L' Oscar e Amazon
Hanno sfilato e hanno vinto: Jeff Bezos si è «aggiudicato» la statuetta per Manchester by the Sea, produzione britannica di cui Amazon ha acquisito i diritti di distribuzione e che ha conquistato l' Oscar sia per il miglior attore sia per la migliore sceneggiatura originale. Il colosso ha inoltre ottenuto una terza statuetta per Il Cliente, produzione iraniana di cui Amazon ha acquisito i diritti di distribuzione negli Stati Uniti e in Canada. Un solo Oscar per Netflix, con The White Helmets per la categoria miglior cortometraggio documentario.
Un risultato non proprio scontato per una società nata per creare serie tv. Già, la tv: l' impressione a Hollywood, ma non solo, è che il confine tra cinema e piccolo schermo sia ormai sempre più labile e sono ormai in molti quelli che apostrofano Netflix come «il nemico pubblico numero uno». In primis Bert Salke, alla guida di Fox 21 Television Studios che ha visto più di uno dei suoi dipendenti passare nelle (ricche) braccia di Hastings.
silence andrew garfield martin scorsese
Al punto che si parla ormai di battaglia legale tra Hollywood e Netflix, visto l' importante e deciso cambio di passo di quest' ultima che quest' anno produrrà non meno di 70 nuovi contenuti per un investimento complessivo di 6 miliardi di dollari contro i 5 dello scorso anno, più del doppio rispetto a quanto spenderà Time Warner e cinque volte più rispetto alla 21st Century Fox. Basti pensare che un singolo episodio di The Crown (serie tv sulla regina Elisabetta II d' Inghilterra) è costato circa 10 milioni di dollari.
Ultimo «sgarro»: l' acquisizione da parte di Netflix dei diritti per distribuire in tutto il mondo The Irishman, l' ultimo film di Martin Scorsese. Dopo una serie di rimbalzi tra le diverse case di produzione, visto anche il continuo lievitare dei costi di produzione (qualche decina di milioni di dollari), Netflix si è aggiudicata sia i diritti per il Nordamerica (che erano della Paramount) sia quelli per la distribuzione in Cina ( di Media Asia) e nel resto del mon do (che erano di STX Entertainment).
LA WEB TV HULU E I SUOI PARTNER
Il costo complessivo potrebbe aggirarsi tra i 130 e i 150 milioni di dollari, una cifra decisamente elevata che fa ben capire la potenza di fuoco della creatura di Reed Hastings, in grado non solo di poter competere alla pari con le storiche case di produzione, ma di strappare loro dalle mani prodotti e progetti.
Con giudizio però: il rischio che gli studios facciano accordi con i competitor, come Amazon e Hulu, è alto. E quello che per ora salva Netflix è la continua produzione di contenuti originali. Difficile dunque, se non impossibile competere su un piano economico, soprattutto se il tuo avversario può contare «su alte entrate, basse spese e un bagaglio imprenditoriale meno ingombrante» ha riassunto un legale della Fox.
Molti network televisivi, che sentono la competizione tanto quanto le major cinematografiche, hanno raddoppiato gli sforzi per scovare nuovi talenti per scrivere e produrre serie tv in grado di rosicchiare quote di mercato di Netflix. Anche perché sono in molti a rimproverare al gruppo di Hastings di non essere in grado di promuovere a sufficienza i vari contenuti, ma questo non sembra un ostacolo sufficiente per le molte star del cinema che preferiscono comunque lavorare per le creazioni originali del gruppo di Hastings.
Certamente aiuta anche il fatto che Netflix paghi tendenzialmente di più e consenta una migliore gestione del tempo, dato il numero limitato di episodi per ogni serie.
Hollywood ma non solo: anche Disney sta cominciando a risentire del fastidioso competitor. Molti adolescenti, target tradizionale dei suoi canali tv, stanno migrando verso i programmi in streaming (Netflix, ma anche Youtube e Hulu), attratti sempre più dai contenuti meno «teen».
Per questo il gruppo di Topolino sta studiando una serie di progetti che si adattino al cambiamento di mentalità del proprio pubblico.
I dubbi del mercato
Alcuni dirigenti del settore e alcuni scettici a Wall Street si chiedono se in effetti Netflix possa raggiungere abbastanza abbonati, in particolare nei mercati internazionali, per sostenere le spese e per giustificare una capitalizzazione di mercato di 60 miliardi di dollari che la valorizza più di 300 volte i suoi guadagni nel 2016.
Lo scorso anno gli abbonamenti complessivi sono cresciuti del 25%, raggiungendo i 94 milioni di utenti. Secondo le stime di alcuni analisti però quest' anno il gruppo di Hastings potrebbe avere una cassa negativa per 2 miliardi proprio a causa delle spese elevate per la produzione di serie originali che richiedono un esborso maggiore rispetto alle produzioni «in library», in catalogo.