Roberto D'Agostino per Dagospia
Posso raccontarlo? Questo Kundera avrà pure lanciato l'Adelphi nella classifica del best-sellerismo da Autogrill, però ha rovinato la mia vita. Per pochi giorni, fortunatamente, e poi è accaduto molti anni fa. Ma rovinata, veramente. Arriva dunque "Quelli della notte" e decido, garantito da Arbore, di "interpretare" l'intellettuale post-tutto e ante-niente, così in auge in quella prima metà degli anni Ottanta.
E si vedeva allora sullo schermo, in precario equilibrio fra il demente e il demenziale, un "pupazzo animato" ben consapevole che si era chiuso il ciclo "Settanta" della politicizzazione, del protagonismo collettivo e della ricerca della felicità sociale, secondo l'espressione coniata dal sociologo Albert Hirschmann, autore appunto del libro "Felicità privata e felicità pubblica" (che spiega come i pendolarismi della storia derivino dall'oscillazione dei gusti del pubblico fra questi due poli).
Da qui farfugliavo, notte dopo notte, di "look paninaro" e di "edonismo reaganiano" e farneticavo, puntata dopo puntata, quali erano i pensatori che stavano dietro al nuovo intellettuale post-moderno, autori scelti con cura in base alla struttura del nome o dei titoli dei loro libri ("Il pensiero debole" per Gianni Vattimo, "L'estetica del brutto" per Karl Rosenkranz, "L'ideologia del traditore" per Achille Bonito Oliva).
dago arbore quelli della notte
Ecco, bastava mettere in fila indiana i titoli di cui sopra per ottenere il display del cambiamento, dell'ebbrezza del nuovo e del post-moderno? No: mancava "quel" titolo capace di racchiudere lo Spirito del Tempo, quegli anni "senza deposito", né ideologico né morale, che sono stati gli Ottanta.
Da una parte. Dall’altra, mi eccitava l’idea di perculare quella cultura editoriale che sfornava libri basati su una formula che illudeva la gente della classe media di appartenere all'alta cultura, in primis i volumi Adelphi. Per caos e per fortuna, mi capitò sotto il naso il "manifesto" e sotto gli occhi una critica letteraria del compianto Severino Cesari (che fu editor dell'einaudiana Stile Libero).
Cesari ruotava come le pale di un Moulinex impazzito su un autore di cui non sapevo assolutamente nulla, tale Milan Kundera. Uno scrittore mezzo-ceco mezzo-parigino che in Italia continuava a cambiar editore (il primo fu Mondadori su intuito del grande Oreste Del Buono) perché i suoi romanzi non ottenevano né attenzione dal pubblico né osanna dalla critica.
Ma il titolo del suo libro mi sembrò un'insegna-epitaffio sublime, sfavillante al neon, per la decade: "L'insostenibile leggerezza dell'essere". (Che sta agli anni Ottanta, come "Il giovane Holden" ai '5O, "Sulla strada" ai '6O, "Porci con le ali" ai '7O, "Va' dove ti porta il cuore" ai '9O).
Devo confessarlo: quando menavo il tormentone de "L'insostenibile leggerezza dell'essere", non avevo nemmeno sfiorato il libro.
Ogni sera mi limitavo a parodiare un paragrafo della recensione, stilisticamente demente e involontariamente demenziale, di Cesari. Quindi rimasi a mani vuote allorché Roberto Calasso, editore di Adelphi, omaggiò il circo Barnum di "Quelli della notte" di copie kunderate. Al mio indirizzo ricevetti invece un librone gotico-funebre intitolato "Aberrazioni".
Pensai subito che era un titolo perfetto per il riporto a 33 giri che, partendo dfai peli della schiena, inalberava Robertino Calasso. Rimasi poi di stucco quando l'unico Milan (che Berlusconi non poteva comprare) fu scoperto in mano alle casalinghe sotto l'ombrellone e alle segretarie d'azienda sopra la scrivania.
Infine, arrivò l'inenarrabile: assediato da associazioni e librerie e Rotary vari, cominciai a tenere conferenze (sic!) su Kundera e il suo osannato libro che, grazie al can can televisivo, rimise in sesto il bilancio dell’Adelphi. Così, fedele come un carabiniere al cliché di successo di "Quelli della notte", tenni a debita distanza il libro e continuai a blablare goliardismi a calembour sciolto (la scaletta delle conferenza era: "L'amore è Cechov?", "Parmenide o Parmalat?", "Etere o catetere?").
Poi un bel giorno mia sorella mi regalò "L'insostenibile leggerezza dell'essere" (ne aveva ricevuti due per il suo compleanno), e leggendolo velocemente a piombo, trasversalmente la pagina, ho scoperto che il libro-simbolo degli anni Ottanta parlava degli anni Settanta…