Gianni Santoro per “la Repubblica”
«La verità è che all’inizio della nostra storia avevamo un sogno: diventare famosissimi in Italia e condurre una vita normale e anonima a casa in Inghilterra». Non è andata come sperava Neil Tennant. I Pet Shop Boys sono conosciuti in mezzo mondo per il loro pop elettronico.
E l’Italia?
«Facemmo enormi sforzi promozionali, ma non è mai stata uno dei mercati più grandi per noi».
Nonostante un brano con un titolo italiano: Paninaro del 1986.
«Era parte del piano. È stato un piccolo successo, ma solo in Italia».
30 anni dopo il duo ci riprova con il tredicesimo album della carriera, Super, in uscita il primo aprile, che contiene anche un brano intitolato Pazzo!.
Perché “Pazzo!”?
«Chris (Lowe, l’altro Pet Shop Boys, ndr) ha amici italiani a Londra che lo chiamano così: pazzo. Io so dire solo “Montepulciano d’Abbruzzo”».
Oltre a “Paninaro”.
«Eravamo a Milano a fare promozione per West End Girls e c’erano questi ragazzi curiosi. Ci dissero: fanno parte del movimento dei paninari. E in teoria non dovevano piacerci perché noi eravamo considerati alternativi e loro sembravano più fan di Madonna o degli Wham. Io e Chris eravamo ossessionati dall’Italia e dal genere dance chiamato italo disco».
Lo scorso anno in concerto a Roma prima di “It’s a sin” ha detto che era un po’ strano cantarla “a due passi dal Vaticano”.
«Perché parla di peccati e cattolicesimo. È orribile quello che è successo con gli scandali di pedofilia, come racconta il film Il caso Spotlight. Al confronto It’s a sin, ispirata alla rigidità dell’educazione cattolica che ho avuto io, sembra banale».
Durante la sua adolescenza David Bowie era un riferimento?
«Per i teenager degli anni Settanta come me ebbe un impatto enorme. Quello che c’era in giro, il progressive, non mi affascinava. Ma dal punto di vista musicale sui Pet Shop Boys l’influenza di Bowie non fu determinante, non come la dance e l’electro ».
Poi avete lavorato insieme per il suo singolo “Hallo Spaceboy”.
«Sì, un grande onore. Nella sua antologia recente non ci sono molte collaborazioni: solo quella con Mick Jagger e quella con noi. Nella mostra David Bowie Is hanno sottolineato come in quel brano tornò a cantare di Major Tom per completare la trilogia iniziata con Space oddity e Ashes to ashes ».
Non meriterebbero anche i Pet Shop Boys una retrospettiva con gli abiti e il lavoro visual, copertine, video?
«Siamo stati contattati da un curatore americano forse 15 anni fa, ma poi la cosa è andata per le lunghe e non si è fatto nulla. Ora dopo lo mostra di Bowie sarebbe un po’ difficile. E poi i suoi costumi erano molto più estremi dei nostri».
Negli anni la vostra musica ha attraversato varie fasi: era considerata nuova, poi vecchia, poi forse vintage e adesso è classica.
«Non sono sicuro della musica, ma i Pet Shop Boys hanno seguito proprio quella traiettoria: prima eravamo l’ultima novità, poi famosissimi, poi non più così famosi, poi di culto, poi classici. Ma non siamo mai saliti sul carro del vincitore.
Quando c’era il brit pop pubblicammo Bilingual, album influenzato dai suoni latinoamericani, nessuno lo faceva allora. Subito dopo Ricky Martin era ovunque. Non abbiamo seguito le mode ma a volte ci siamo trovati allo stesso passo. Anche con le produzioni dal vivo è stato così, dopo di noi U2 e Lady Gaga hanno lavorato con il nostro live designer, Es Devlin».
Quando lavorava per la rivista musicale “Smash Hits” fu tra i primi a intervistare Madonna.
PET SHOP BOYS PET SHOP BOYS ALBUM SUPER
«Forse il primo. Era il 1983 a New York, non era ancora famosa. Venne all’intervista in metropolitana e poi andammo a mangiare una pizza insieme ».
Si è spesso esposto per i diritti civili, ma nel mondo della musica ancora c’è sessismo?
«Forse non tra gli artisti, in fondo la star oggi è una donna, Adele. Ma quante donne conosce in Italia in una posizione di potere nella musica? Di solito lavorano negli uffici stampa, nel marketing, mai come grandi manager.
Viviamo ancora in una cultura molto sessista, dove per vendere prodotti si usano ancora donne con le tette grandi, e sinceramente pensavo che arrivati a questo punto le cose sarebbero cambiate un po’ di più».