FINI, NON PUÒ FINIRE QUI - "SONO DIVENTATO CIECO, SE NON LEGGO NON POSSO SCRIVERE. PREFERISCO USCIRE IN BELLEZZA" - TRAVAGLIO: "CONTINUEREMO A PERSEGUITARTI PER AVERE LA TUA OPINIONE, MAI SCONTATA" - -

Massimo Fini: "Sono stato uno dei protagonisti del mondo intellettuale italiano, ma come uno zolfanello per incendiarmi devo strofinarmi a qualcosa. Se non posso leggere e documentarmi, preferisco non finire come una suppellettile" - Travaglio: "Levati dalla testa l'idea di levarti di torno. Ci serve la tua penna al curaro"...

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Marco Travaglio per il “Fatto quotidiano

 

MASSIMO FINI UNA VITA MASSIMO FINI UNA VITA

L’altro giorno mi telefona Massimo Fini, amico e collaboratore prezioso del Fatto Quotidiano fin dalla fondazione. Mi dà, con il solito spirito guascone allergico ai drammi e ai melodrammi: “Marco, sono diventato quasi cieco, non posso più leggere i giornali, quindi non posso nemmeno scrivere. O meglio, potrei ancora, ma non più al mio livello. Preferisco chiudere qui, in bellezza, piuttosto che trascinarmi con una qualità declinante”.

 

Lo prego di ripensarci, di immaginare una forma di collaborazione magari più saltuaria, svincolata dagli obblighi settimanali della rubrica Battibecco, ma di non far mancare ai lettori la sua voce controcorrente, dunque fondamentale per un giornale come il nostro: “'Sticazzi gli occhi, l’importante è che la testa funzioni”. Mi promette di pensarci. Lo fa, e ieri mi scrive la sua risposta. Eccola.

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Caro Marco,

ti ringrazio di cuore per la tua generosa insistenza. In un momento in cui il Fatto intende inserire forze fresche, ha un valore particolare. Vuol dire che, nonostante tutto, sono riuscito ad essere all’altezza, almeno in parte, delle vostre aspettative. Ma non posso dirti di sì. Per due ragioni. 

 

La prima è pratica. Non ci vedo. Non posso leggere e quindi scrivere. E allora Borges, dirai? Ma Borges era un grandissimo poeta che attingeva i suoi materiali dalla propria interiorità. Io sono solo un giornalista, un saggista, nella migliore delle ipotesi un pensatore, che ha bisogno di documentarsi. Sono – lo sono sempre stato – come uno zolfanello che per accendersi, e poi anche incendiarsi, ha bisogno di strofinarsi a qualcosa.

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La seconda ragione è soggettiva. Lo dico senza false modestie: credo di essere stato, sia pur a modo mio, uno dei protagonisti del mondo intellettuale italiano dell’ultimo quarto di secolo, diciamo da “La Ragione aveva Torto?” che è del 1985. Non voglio finire come una suppellettile. Ho preferito uscirne in bellezza. Anche se con un retrogusto amaro, molto amaro, Marchino mio.

Massimo

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Caro Massimo,

levati dalla testa l’idea di levarti di torno. La tua lettera, così come il tuo ultimo splendido libro Una vita, dimostra che la testa funziona benissimo, a prescindere dagli occhi. E poi chi ti dice che non poter più leggere i giornali sia una disgrazia?

 

Marco Travaglio Marco Travaglio

Montanelli, specie negli ultimi anni, lasciava la mazzetta dei quotidiani praticamente intonsa: eppure, quando si metteva alla scrivania e faceva ticchettare la sua Olivetti, era sempre un prodigio e una delizia. E sai bene che, pur non avendo lasciato eredi, ti considerava il giornalista più vicino a lui.

 

Il Fatto – inteso come direzione, redazione e comunità di lettori – ha più che mai bisogno di te, del tuo pensiero urticante e mai scontato, della tua penna al curaro che ribalta ogni volta i luoghi comuni e le convenzioni obbligandoci a metterci continuamente in discussione. Anche quando non siamo d’accordo con te.

Marco Travaglio Marco Travaglio

 

Quindi continueremo a perseguitarti per avere la tua opinione su un mondo e su un’Italia sempre più conformisti e adagiati sul pensiero unico. Per incendiarti come uno zolfanello, ti basterà accendere la tv e strofinarti su un telegiornale o un talk show a caso. Se non potrai leggere, potrai scrivere. Se non potrai scrivere, potrai parlare. E non vedo dove altro potrai, anzi dovrai farlo, se non sul Fatto Quotidiano.

M. Trav.

 

 

 

 

 

 

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