“MI HANNO SEMPRE DATO DELLA LESBICA, NON L’HO MAI CONSIDERATO UN INSULTO” - PAOLA TURCI CONFESSIONS: “QUANDO AVEVO 19 ANNI E CANTAVO ALL’OSTERIA DELL’ORSO, PASSÒ ADRIANO PANATTA, MI VIDE E DISSE: ‘HA I MUSCOLI, LA VOCE BASSA: È LESBICA’. POI HANNO INIZIATO A DIRE CHE STAVO CON GIANNA NANNINI, CHE NON AVEVO MAI INCONTRATO” - NO COMMENT SULLE FOTO IN BARCA CON LA PASCALE: “LA RISERVATEZZA È UN VALORE. E SE LA SESSUALITÀ NON HA LIMITI, NON È DETTO CHE…” - LE FOTO DI MASSIMO SESTINI PER “OGGI”

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Marianna Aprile per “Oggi”

 

paola turci su oggi foto massimo sestini paola turci su oggi foto massimo sestini

«Voliamo liberi, voliamo alti. Basta con gossip, chiacchiericcio, illazioni e proviamo a riscoprire il valore della riservatezza. Non è necessario dichiarare chi si è. Si è e basta».

 

Lei è Paola Turci e in questi anni ha lasciato che quel chiacchiericcio si esercitasse sulla sua vita privata, senza intervenire. «Jodie Foster una volta ha detto: “Ho scelto di fare l’attrice, non il Grande Fratello”. Anche quando si è personaggi pubblici non si è obbligati a darsi in pasto agli altri».

 

Spiega così la decisione di non commentare neanche le foto pubblicate da Oggi che la ritraevano in barca con Francesca Pascale.

 

«Ripeto: la riservatezza è un valore. E se la sessualità non ha limiti, non è detto che non debba averne la comunicazione della sessualità: raccontare quel che ti piace ti mette in una casella, e per fortuna oggi non c’è più bisogno di sceglierne una».

 

 

FRANCESCA PASCALE PAOLA TURCI FRANCESCA PASCALE PAOLA TURCI

Non pensa che sottrarsi alla rettifica abbia alimentato l’idea che in quelle foto ci fosse qualcosa per cui vergognarsi?

«Mi hanno sempre dato della lesbica, non l’ho mai considerato un insulto. A intenderla come offensiva sono solo gli omofobi o le persone profondamente ignoranti.

 

Quando avevo 19 anni e cantavo all’Osteria dell’Orso, passò Adriano Panatta, mi vide e disse: “Ha i muscoli, la voce bassa: è lesbica”.

 

Io allora non sapevo neanche bene cosa significasse. Poi hanno iniziato a dire che stavo con Gianna Nannini, che non avevo mai incontrato. Nel 1994, intervistata dalla rivista gay Babilonia, chiarii: “Se fossi lesbica lo direi”».

 

Il tema resta: il suo silenzio non ha avallato l’idea che ci fosse qualcosa da nascondere?

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«Papa Francesco ha detto il chiacchiericcio è il male del nostro tempo.

 

Avrei potuto mangiarci sul quel pettegolezzo, invece ho rifiutato copertine, soldi. Il mio silenzio ha comunicato che non è necessario dire quello che sei. Ho accettato questa intervista, in un momento in cui non ho niente da “vendere”, perché ho la speranza che passi questo messaggio.

 

E perché sia chiaro che non è più il tempo in cui un’artista per sostenere

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una causa deve necessariamente incarnare un modello.

 

Sono a favore dell’eutanasia pur non avendo esperienza diretta di quel tipo di dilemma, posso sostenere le battaglie Lgbtq+ anche senza definirmi».

 

Oggi non risponderebbe più «Se fossi lesbica lo direi»?

«No, perché ho capito quanto fastidio mi dia la definizione continua delle persone. Amo i dettagli, le sfumature, questa classificazione non mi appartiene. Ma oggi tutto è polarizzato».

 

Tranne la guerra. Su quella in Ucraina si assiste a mille distinguo. Perché?

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«Questa guerra ci mette di fronte a verità difficili da ammettere.

 

Per esempio che pretendiamo di “scegliere” profughi che ci somiglino di più, vestiti meglio di quelli che arrivano coi barconi.

 

O che finora abbiamo deciso di ignorare guerre atroci quanto quella in Ucraina, come quella in Afghanistan, genocidi come quello nel Ruanda. Dopo questa guerra non saremo più gli stessi».

 

Vinse Sanremo Emergenti con Bambini, in cui raccontava che sono sempre loro a pagare il prezzo di una guerra. Era l’89, l’anno della caduta del muro di Berlino, del sogno di un’Europa unita. Oggi, 33 anni dopo, bimbi sotto le bombe ai confini dell’Europa.

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«Quella canzone è drammaticamente attuale. “Bambino armato e disarmato in una foto, senza felicità”, cantavo.

 

E oggi vediamo una bimba di 9 anni in mimetica e lecca lecca con un fucile scarico messole in braccio dal papà.

 

Quella canzone sposa musica e impegno, due coordinate su cui mi muovo. E mi ha portata a visitare carceri minorili, ospedali pediatrici, a portare musica e attenzione dove non ci sono».

 

 

Sui suoi profili social si è schierata per eutanasia legale, cannabis legale, giornata della memoria, Ong, Ddl Zan. Ha ancora un valore che un’artista si schieri?

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«Credo di sì e comunque è il mio modo per restituire l’immensa fortuna che ho avuto. Ho avuto il dono del canto, vivo di quel che amo, sono sana, libera.

 

Canto spesso in ospedali e carceri e anche se un po’ del dolore in cui mi immergo quando entro lì mi rimane addosso, non è importante: c’è chi in quel dolore vive e lavora. Della prima volta in un carcere minorile, nel 1990, ho ricordi confusi. Ma me lo perdono: rimuovere quelle emozioni è un modo per difendersi».

 

È spesso in carcere. Perché?

 

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I riflettori vanno accesi dove la luce non entra. Amo cercare sensibilità dove non ti aspetti di trovarne. Le reazioni sono incredibili.

 

A Secondigliano, un detenuto per omicidio mi si è avvicinato tremante con una rosa in mano. Tra il suo delitto e quella rosa c’è la vita, c’è tutto quello che abita una persona. Quando si canta, ci si connette con la bellezza dell’essere umano. Vado in carcere per assistere a quell'istante lì».

 

E per questo che dall'Ucraina arrivano tanti video di cori e persone che suonano e cantano sotto le bombe o nei bunker?

«Credo di sì. La musica è il modo per continuare a provare emozioni e sfuggire all'orrore. Cantare è qualcosa che tutti possono fare sempre e che nessuno più toglierti. È libertà».

 

Ha deciso di sostenere la campagna per l'eutanasia legale per ragioni personali?

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«Non mi ero mai interessata finché non si è iniziato a parlarne. Sono credente, ma sono anche convinta che il libero arbitrio non possa essere à la carte: o c'è o non c'è. Quando non c'è più niente da fare, soffri le pene dell'inferno, e vuoi morire, forse anche Dio vuole che tu smetta di soffrire.

 

Ci sono arrivata sulla mia pelle. Mi sono sposata in chiesa, volevo fosse un sacramento. Quando mi sono accorta che il matrimonio non funzionava, ho pensato "non posso divorziare, devo rassegnarmi". Ma stavo sempre peggio. Finché non ho pensato che non fosse possibile che Dio o chi per lui mi volesse così triste, lontana da ogni possibile felicità. E ho divorziato».

 

Lei sembra fuggire dai riflettori. Perché?

«La parte "effimera" del mio lavoro mi pesa, mi sembra che mi porti lontano dalla realtà. Ho sempre preferito stare in disparte e quando è arrivata la mia cicatrice, mi sono chiusa ancora di più.

 

PAOLA TURCI NEL 1987 PAOLA TURCI NEL 1987

 

Ma a un certo punto ho capito che dovevo riappropriarmi di me. Nel 2014 ho scritto un'autobiografia, Mi amerò lo stesso. Ho fatto finta, con me stessa, di averla superata. Ma non era così.

 

Ci ho lavorato. Poi un giorno c'è stato un momento in cui non avrei saputo dire se la cicatrice fosse a destra o a sinistra. È bellissimo immaginarsi come ci si piace e io ho iniziato a farlo».

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