Luigi Bolognini per la Repubblica
paninari piazza san babila milano
Un'epoca non finisce necessariamente cambiando il calendario. Gli anni Ottanta, per dire, finiranno ufficialmente il 6 dicembre con la chiusura (scaduto il contratto d'affitto) del McDonald's di piazza San Babila a Milano. Prima si chiamava Burghy: culla dei paninari. Seguaci della più famosa, o famigerata, moda anni Ottanta: piumino Moncler, scarpe Timberland, accessori Fiorucci, Naj-Oleari e El Charro, cibo base l'hamburger, che faceva Usa.
Tutto finito: quasi tutti i marchi sono diventati stranieri, Fiorucci, che aveva lì bottega, è morto, ora addio anche al fast food. Ce ne sono altri, sì, ma questo aveva qualcosa in più. Anzitutto simbolicamente: San Babila era, negli anni Settanta, il regno dei picchiatori fascisti. In pochi anni lo diventò di adolescenti che si trovavano a parlare di ragazze (cioè "sfitinzie") e varie banalità, segno della fine delle ideologie, soprattutto violente. Gino Vignali, della coppia Gino & Michele, autori satirici che iniziarono in quegli anni, la riassume con una battuta di Altan: «Dopo il freddo degli anni di piombo, il calduccio degli anni di merda. C'erano i paninari, sì, ma anche un risveglio della città: l'Elfo, lo Zelig, la Smemoranda. Erano gli anni del Psi, meglio di quelli del Msi, criticabili, ma di grande dinamismo. E forse da rianalizzare con freddezza, adesso».
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Simbolo degli anni Ottanta fu la trasmissione Drive in, forte anche della parodia del Paninaro interpretata da Enzo Braschi. Spiega il suo papà Antonio Ricci: « Drive in è stata la trasmissione di satira più feroce e critica del decennio L'esistenza dei paninari la scoprii guardando un servizio sui gruppi giovanili milanesi di Non solo moda , trasmissione tv di Canale 5. I paninari, eredi spirituali dei sanbabilini, bivaccavano tutto il giorno al bar Panino, in piazzetta Liberty, nel cuore di Milano. San Babila era lì accanto. Mandai Braschi a infiltrarsi per carpirne i segreti. I paninari avevano già un gergo: sfitinzia, truzzi, tamarro. Lo arricchimmo prendendo espressioni dal "droghese": fuori di melone, mi acchiappa un casino. Impiegammo anche forme mistificate dell'inglese - arrapescion, inchiappettescion, eccetera - mentre dal linguaggio giovanile dei primi anni 70 rispolverammo "cuccare". "Gallo" ci servì invece per il "paninaro doc": il piuminazzo Moncler è infatti griffato con il gallo.
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Il paninarese fu elaborato a tavolino e per un periodo influenzò molto il linguaggio giovanile. Il povero Braschi veniva inseguito per essere picchiato un po' da tutti: dai paninari perché li prendeva in giro e pure dai metallari, i nemici dei paninari, che lo ritenevano un paninaro».
La moda dilagò tanto che Renzo Barbieri, editore di fumetti hard (uno su tutti, Lando ) si inventò quelli del Paninaro , affidandone i disegni a Giuseppe Montanari: «Barbieri, attentissimo alle mode, creò anche Preppie , per le ragazze. Le sceneggiature, sue e di Paolo Ghelardini, erano sempre un po' così, avventure banalotte legate a sesso e moda. Funzionava, anche se certo puntavamo più sulla quantità che sulla qualità». Durò comunque tre anni, anche con punte di 100mila copie.
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Segno che il mondo dei paninari non circolava più solo intorno a quel Burghy e non solo a Milano. Lo spiega Maria Luisa Frisa, docente di Design della moda allo Iuav di Venezia: «Quella Milano aveva una grandissima energia accumulata: la transavanguardia di Achille Bonito Oliva, Armani che veste Gere in American Gigolo . Ecco, i vestiti sì contavano, davano forza. Quelli dei paninari erano gli elementi che denotavano e spiegavano alcune tribù, diventando moda. E i paninari furono l'unico fenomeno di moda popolare italiano all'estero. Ed elementi come spalloni, giacche colorate, leggings, piumini, ci sono ancora adesso».
Tanto vero che il fenomeno finì addirittura in una canzone di una delle band più di moda dell'epoca, i Pet Shop Boys. Neil Tennant spiegò così Paninaro , tuttora in scaletta ai concerti: «Eravamo a Milano a fare promozione, vedemmo dei ragazzi vestiti in modo curioso. Noi eravamo considerati alternativi, loro sembravano più fan di Madonna o Wham! Ma ci arrivò l'ispirazione per un brano con un coro oh-oh che sembrava piacere tanto all'Italia in quel momento la intitolammo così». Ecco cosa resterà dal 6 dicembre: una canzone. Tantissimo o pochissimo.
ENZO BRASCHI: "IO, LE SFITINZIE E IL TROPPO GIUSTO IN TV FU SUBITO UN TRIONFO"
L. B. per la Repubblica
«Che peccato che chiuda quel fast food, ha voluto dire molto». In particolare per Enzo Braschi, comico genovese che a Drive In si ritrovò nei panni del paninaro: piumino, gergo e Wild boys dei Duran Duran a precedere il racconto delle sue disavventure con le "sfitinzie".
Come nacque il personaggio, Braschi?
«A Drive In non trovavo un personaggio, facevo gag estemporanee. Una sera alle due di notte mi chiamò Ricci: "Ho visto degli sfigati con la giacca da sci e scarpe quasi ortopediche, lavoriamoci sopra". Lo facemmo, ma poi la prima puntata non andò in onda».
Perché?
«Parlando delle Timberland dissi "scarpe very american inchiappettation, 200mila lire", temevamo la querela. Dovetti sostituire quelle parole e al momento inventai "trooooppo giuste!". Era fatta».
Il trionfo.
«Però un fotografo mi portò davanti al Burghy e i paninari mi volevano menare perché li parodiavo. Ma sì, alla fine tutti parlavano così. Un giorno presi un bus e l'autista minacciò un maleducato di dargli "una compilation di schiaffazzi". Capii che era fatta».
Era tanto contestato?
«Dai paninari sì, diversi volevano menarmi. Ma alla fine li convincevo che raccontavo il loro mondo e le loro storie e tanti poi mi chiedevano anche l'autografo».
Non durò tantissimo.
«Avemmo il buonsenso di tenere il personaggio ma fargli fare altre cose, pur con quel linguaggio e quei modi, così non lo svuotammo. Il rockabilly, poi il soldato appena arruolato».
Come lavoravate?
«Con Lorenzo Beccati, Max Greggio, Gennaro Ventimiglia. E ovviamente con Ricci, un genio, a cui spettava l'ultima parola su tutto. Eravamo un rullo compressore, facevamo le notti a scrivere, ma ci divertivamo noi per primi e si vedeva. Drive In è stata una trasmissione irripetibile, ha segnato il tempo. E non era mica così leggera come si diceva: la mia era satira di costume, ma c'era anche quella politica»
"Wild boys" come venne?
«Per caso: serviva una musica introduttiva, era di moda in quel momento. Però fu perfetta, trasmetteva l'energia di quei ragazzi, divenne un inno».
Da quanto non fa più il paninaro?
«Se ricordo bene il 2012, una convention a Milano. Tutti i dirigenti erano stati paninari. Uno mi regalò due paia di Timberland. Ancora adesso, che vivo alle Canarie, i turisti italiani mi riconoscono tutti, mi hanno anche dato un premio. I ricordi più belli della mia vita».
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