Barbara Tomasino per “Libero quotidiano”
«Le grandi idee hanno spesso testimoni illustri: pensiamo al pacifismo con Russell e Einstein, il femminismo di Susan Sontag, e così via. Invece il politicamente corretto non ha delle figure di rilievo, più che altro mezze tacche, burocrati estensori di programmi scolastici. C' è di fondo un anonimato che crea un ricatto, come se si fosse sviluppato un senso comune - a cui non puoi non aderire - senza che nessuno ci abbia messo la faccia».
Emanuele Trevi, classe '64, è uno degli scrittori più irregolari degli ultimi 20 anni: iconoclasta, sottilmente sovversivo, molto intelligente, inafferrabile e talvolta "scomodo". Alcune sue opere hanno segnato il corso della narrativa contemporanea, come Qualcosa di scritto (2012) su Pasolini e Laura Betti e Sogni e favole (2019) su Amelia Rosselli.
Trevi, come un flâneur della letteratura, ha attraversato le vite di decine di protagonisti della cultura italiana del secolo scorso, restituendo attraverso la sua scrittura un racconto che è parte biografia, parte autocoscienza, parte sogno e parte incanto indicibile della parola scritta che si riverbera tra le strade di Roma, nel tintinnìo dei bicchieri a cena, nel silenzio degli sguardi colmi di ricordi e compassione, come nell' ultimo, struggente racconto di amicizia che è Due vite (Neri Pozza, pp. 144, euro 12).
battaglie ridicole Quando il "collega" Francesco Piccolo ha dichiarato in un' intervista di non sentirsi in colpa per l' animale maschio, bianco, borghese che si porta dentro, Trevi non ha esitato: «Sono assolutamente d' accordo con lui, il politicamente corretto è un mostro senza testa e mi dà fastidio che venga identificato con l' essere di sinistra. Tra le mie conoscenze nessuno è d' accordo con l' asterisco di genere, ma mi dicono che non conviene dirlo, meglio adeguarsi».
Per lo scrittore queste sono battaglie ridicole: «Noi siamo per combattere i nemici veri, la gente che ha combattuto i nazisti non era affetta da narcisismo etico, sarebbe rimasta a bocca aperta sapendo che le nostre battaglie hanno questo tenore morale. Un altro aspetto che non mi piace è quello normativo: se una persona decide di ripulire il proprio linguaggio da aspetti patriarcali o sciovinisti, perché si preoccupa se Trevi scrive la Morante invece di Morante? L' obbligo degli assurdi femminili è di per sé prescrittiva e da libertario non l' accetto».
«Il codice si allarga ogni giorno», prosegue lo scrittore, «un idiota si alza e ne tira fuori una nuova ma perché devo dire la sindaca? Sono puttanate, ma tanto vale non dirlo, ci costa poca fatica aderire a questo codice».
Una delle iniziative più assurde, sottolinea Trevi, in nome di un presunto "femminismo" di deriva #Metoo, è quella della Women' s Prize For Fiction: ristampare una collana di 25 romanzi scritti da donne sotto pseudonimo maschile, tra cui George Eliot (vero nome Mary Ann Evans) e George Sand (ovvero Amantine Lucile Aurore Dupin), tradendo di fatto le volontà delle autrici che avevano scelto lo pseudonimo in assoluta libertà secondo criteri d' ispirazione che non ci è dato discutere.
«Dalle università americane è bandita la tragedia greca, le scuole inglesi hanno eliminato La bella addormentata nel bosco, l' ultima roccaforte saranno i paesi latini che hanno un codice potente nei rapporti tra uomini e donne che è la galanteria, arcaico e contestato, ma che assorbe le tensioni e sposta verso il bene la relazione tra i due sessi», afferma lo scrittore.
Sa di attirare molte critiche facendo affermazioni del genere, ma candidamente risponde che non gli importa perché sa di essere una brava persona. «Citando Cristina Campo, il senso di colpa è un non senso. Mi sento in colpa quando faccio una singola azione sbagliata o che non ritengo alla mia altezza, ma la condizione umana è talmente difficile che eventuali vantaggi acquisiti per nascita o per fortuna esistenziali, mi sono sempre sembrate irrisori, ho lasciato sempre la porta aperta al mondo».
L' essere libertario è un tratto distintivo di Trevi, traspira da ogni pagina dei suoi scritti e, quando gli domandiamo cosa ne pensa del tema del fine vita, del lavoro di gente come Marco Cappato, lui risponde: «È un fattore di civiltà, ho mandato dolcemente nel paradiso dei cani un essere che ho amato moltissimo, gli uomini hanno meno diritto ad una buona morte degli animali? Chi non fa una legge per la buona morte si macchia di un crimine contro l' umanità», sentenzia Trevi.
raffaele la capria e emanuele trevi
«La politica non ha uno sguardo ad ampio raggio, si muove sulle emergenze e sulle piccole conquiste come l' abolizione della prescrizione e il taglio dei parlamentari che sono "specchietti per allodole che bloccano la società, non si pensa in grande e quindi umanamente. Penso che la chiesa cattolica o si presenta alle elezioni o non può influenzare in maniera incontrollata la vita politica e sociale italiana».
Per lo scrittore romano noi siamo anche inconscio, pensiamo che certe cose tocchino agli altri, quindi non ne parliamo, allontaniamo da noi il pensiero. «Ma Cappato è quello che si può definire un eroe, come le persone che salvano vite negli ospedali, ha dedicato la sua esistenza per il bene degli altri. E il fatto che non ci sia una legge chiara che ci tuteli su questo tema delicato è per me un crimine come il gas nervino, ci vorrebbe un Tribunale dell' Aia che ci sanzioni».
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