Estratto dell’articolo di Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"
[…] non riconosco più Radio1 […] I cambiamenti sono d’uso, chi vince le elezioni ama circondarsi di persone che ritiene rappresentino le proprie idee, ma i criteri di professionalità non dovrebbero mai venire meno.
[…] mi rivolgo a Marinella Soldi, a Roberto Sergio, a Gian Paolo Tagliavia e «ai loro colleghi che contano» per invitarli ad ascoltare Radio1.
Ha perso autorevolezza, ha perso qualità, ha perso il suo ruolo storico. Ma li avete mai sentiti i programmi di Roberto Poletti, di Marcello Foa, di Annalisa Chirico (ma è la stessa che scriveva sul Foglio ?), di Francesco Storace e Vladimir Luxuria, di Monica Setta, di Emanuela Falcetti (purtroppo c’era anche prima), di Igor Righetti?
Lasciando poi perdere chi da anni ricicla le stesse proposte, la stessa zuppa. Se togliamo Giorgio Zanchini (cui è stato ridotto lo spazio), «Un giorno da pecora» con Giorgio Lauro e Geppi Cucciari e «Zapping» di Giancarlo Loquenzi, alla rete resta ben poco: lo sport in diretta quando c’è.
Proprio adesso che, grazie allo streaming, c’è la possibilità di spezzettare la radio in tanti podcast, la qualità dovrebbe essere una prerogativa irrinunciabile: non basta sostituire le persone.
Sembra di essere tornati ai tempi in cui Luigi Einaudi in «Lezioni di politica sociale» (1943-45) metteva in guardia contro il cattivo uso della radio: «Il passaggio dalla radio che allieta ed istruisce e fa dimenticare i dolori, alla radio che è causa di imbecillimento dell’umanità è graduale, chi sa premunirsi dall’andare oltre il punto critico nell’uso della radio?». Con questa Radio1 abbiamo superato il punto critico e per me è motivo di grande rammarico.
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