"Ragazzi, come si sta bene tra noi, tra uomini! Ma perché non siamo nati tutti finocchi?". Difficile non ricordarlo così, mentre esclama felice davanti agli altri compagni di zingarate, difficile non pensare all'architetto Rambaldo Melandri di Amici miei: Gastone Moschin è morto oggi a 88 anni. Era ricoverato da qualche giorno nell'ospedale Santa Maria di Terni. Una lunga carriera fra teatro, cinema e televisione, l'immortalità con il film di Monicelli. Con un post su Facebook, la figlia Emanuela Moschin ha annunciato la scomparsa: "Addio papà, per me eri tutto".
Veneto di San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona, Gastone Moschin era nato l'8 giugno del 1929. La carriera d'attore era iniziata negli anni Cinquanta a teatro, aveva lavorato con la compagnia dello Stabile di Genova, con quella del Piccolo di Milano, con quella dello Stabile di Torino. Più avanti, nel 1983, darà vita a una propria compagnia con la quale porterà in scena Goldoni (Sior Todero brontolon), Miller (Uno sguardo dal ponte, Erano tutti figli miei), Cechov (Il gabbiano).
Al cinema approda negli anni Cinquanta, sia come doppiatore che come attore. Il debutto nel 1955 in La rivale di Anton Giulio Majano, l'esordio nella commedia all'italiana, il genere che decreterà la sua fortuna d'attore, quattro anni dopo, con L'audace colpo dei soliti ignoti di Nanni Loy. Ma è del 1962 il ruolo che gli permette di emergere come interprete, quello del fascista Carmine Passante in Anni ruggenti, il film del 1962 diretto da Luigi Zampa, protagonista Nino Manfredi, ispirato a L'ispettore generale di Gogol. Da quel momento Moschin diventa una presenza costante nel cinema italiano: da La rimpatriata di Damiano Damiani (1963) a La visita di Antonio Pietrangeli (1965) a Sette uomini d'oro, commedia "action" che riscuote un grande successo al botteghino.
Ma se le commedie sembrano essere una grande opportunità per raggiungere rapidamente il pubblico, il plauso della critica arriva con due ruoli drammatici che gli vengono affidati nel 1966: Florestano Vancini lo vuole per Le stagioni del nostro amore mentre Pietro Germi lo chiama per Signore & signori, straordinario affresco delle ipocrisie della provincia italiana che vale a Moschin un Nastro d'argento come migliore attore non protagonista, conquistato con il ruolo di un marito frustrato da una moglie soffocante, che perde la testa per la fascinosa cassiera Virna Lisi. "L'ho adorato prima come uomo che come regista - aveva raccontato Moschin in un'intervista a Repubblica - sul set di Signore & signori era scrupoloso e molto severo. Se un attore non era preparato si arrabbiava moltissimo. Arrivai a Treviso perché qualcuno aveva detto a Germi che ero veneto, e lui mi prese. Era un uomo riservato".
Che sia una spalla o il prim'attore, Moschin dimostra una grane poliedricità nel passaggio da un genere all'altro. Alla fine degli anni Settanta continua con le commedie, da Italian Secret Service a Sissignore e Dove vai tutta nuda?, nel '69 si cimenta con lo spaghetti western in Lo specialista, di Sergio Corbucci, sarà un flop al botteghino. Nel 1970 partecipa a Il conformista di Bernardo Bertolucci e accetta di lavorare in un primo esperimento di "fantasy all'italiana", L'inafferrabile invincibile mister invisibile, di Antonio Margheriti, anche questo non propriamente un trionfo di pubblico. Non riunicia nemmeno al poliziesco - o al poliziottesco - da Roma bene di Carlo Lizzani (1971) al celebre Milano calibro 9 diretto da Fernando Di Leo, con lui sul set Mario Adorf e una giovane e bellissima Barbara Bouchet, nel 1972.
Nello stesso anno gli viene assegnato un compito arduo: prendere il posto di Fernandel, scomparso l'anno precedente, in una delle puntate della saga più popolare dell'epoca, Don Camillo e i giovani d'oggi. L'anno dopo Il delitto Matteotti - 1973 - una grande occasione: Francis Ford Coppola gli affida la parte di don Fanucci, viscidissimo estorsore, alle prese con Robert De Niro, nella New York di inizio Novecento in Il Padrino parte seconda. E ritroverà un grande successo personale con il personaggio del Marsigliese in Squadra volante, diretto nel 1974 da Stelvio Massi, poliziottesco con Tomas Milian e Mario Carotenuto.
Ma è il 1975 l'anno d'oro. Quello in cui esce al cinema Amici miei. Moschin è l'architetto Rambaldo Melandri, inguaribile romantico, vittima costante di sbandate d'amore, compare di zingarate di Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Adolfo Celi e Duilio Del Prete in uno dei film più popolari della storia del cinema italiano, cult assoluto. Il film si piazza in testa alla classifica degli incassi della stagione. Nell'82 esce il sequel, stessa squadra, Monicelli alla regia, new entry Renzo Montagnani che sostitusce Duilio Del Prete. E' il terzo incasso della stagione. Tre anni dopo, nell'85, il terzo film della saga. Alla regia c'è Nanni Loy, Moschin conquista il secondo Nastro d'argento.
Negli anni successivi l'attore rallenta la propria attività. Ritaglia per sé ruoli di qualità come quello del parlamentare comunista di Si salvi chi vuole di Roberto Faenza, del 1980, o il ministro di Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada che Lina Wertmüller dirige nell'83, o I magi randagi di Sergio Citti, 1996. E' dell'anno dopo la sua ultima interpretazione per il grande schermo, il film Porzus di Renzo Martinelli. Ma non rinuncerà a comparire, nel 2010, nel documentario L'ultima zingarata, dedicato a Amici miei.
Non è stato solo il cinema il grande impegno di Gastone Moschin. Fin dalla metà degli anni Cinquanta aveva lavorato per la televisione, da Istantanea sotto l'orologio di Gastone Tanzi, uno dei primissimi lavori, agli sceneggiati di Sandro Bolchi, seguitissimi in tv, come Il mulino del Po (1963) e I miserabili (1964) in cui interpreta Jean Valjean. Le sue ultime interpretazioni risalgono al 2000 e al 2001, quando partecipa alle prime due stagioni delle fiction Don Matteo e Sei forte maestro. Da quel momento, di fatto, il ritiro definitivo dalle scene. Adesso, come in tanti hanno scritto su Twitter, sarà là che ha raggiunto i suoi compari e con loro se la ride: tarapia tapioco, come se fosse antani.
2. MOSCHIN
• San Giovanni Lupatoto (Verona) 8 giugno 1929. Attore. Da ultimo il vescovo della serie tv Don Matteo e L’ultima zingarata (2010, regia di Federico Micali e Yuri Parrettini), film omaggio ad Amici miei di Mario Monicelli.
• Studi all’Accademia d’arte drammatica, si mise in luce allo Stabile di Genova, dove recitò fino al 1958 in numerosi allestimenti di Squarzina. Poi al Piccolo di Milano. In tv dal 1955 (Istantanea sotto l’orologio), divenne famoso grazie agli sceneggiati di Bolchi Il mulino del Po (1963, nella parte di Fratognone) e I miserabili (1964, era Jean Valjean). Il grande pubblico lo conosce soprattutto come l’architetto Rambaldo Melandri nella saga di Amici miei (1975, 1982, 1985, i primi di Monicelli, poi Nanni Loy). Altri film: Anni ruggenti (Zampa 1962), Signore & signori (Germi 1965), Il conformista (Bernardo Bertolucci 1970). Fu anche il boss tutto vestito di bianco ucciso dal giovane padrino Corleone all’inizio della sua carriera (Il padrino parte II di Coppola).
• «Se un attore è capace di essere convincente nei panni di un marito schiavizzato e pusillanime (come è in Signore & signori) e poi in quelli di un bandito sanguinario e cinico (come è in Milano calibro 9), vuol dire che quell’attore, cioè Gastone Moschin, è un grande che non ha niente da invidiare ai più grandi» (Paolo Mereghetti).
• Vive a Narni (Terni), dove gestisce un maneggio e ha una scuola di recitazione.
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