IN LODE DI FRANCISCO UMBRAL, IL CARMELITANO DELLA LUSSURIA - BAROCCO, SGARGIANTE, OSCENO E AGGRESSIVO, NON È DA MENO DI TRUMAN CAPOTE E TOM WOLFE. È L'ANTIDOTO EUROPEO ALLA MELASSA STATUNITENSE - NELLE SUE CRONACHE PUBBLICATE SU "EL PAIS" DEFINI’ IL “CHE” “UN BYRON COL BERRETTO DA GUERRIGLIERO" - "PICASSO? HA GENIALMENTE PLAGIATO L'ARTE DI TUTTI I TEMPI” – LE BORDATE A ALMODOVAR – IL LIBRO “LA NOTTE CHE ARRIVAI AL CAFÉ GIJÓN”

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Davide Brullo per "il Giornale"

 

FRANCISCO UMBRAL FRANCISCO UMBRAL

Come tutti i grandi libri, anche questo comincia di sera, in un caffè, e si chiude con un funerale, in un giorno «crepuscolare e ventoso», dal «freddo violaceo». Come tutti i grandi libri, questo libro comincia con l'ambizione, ferina, e si chiude sull'erma del disincanto, celebra la mistica della chiacchiera e il mistero della poesia, è un'elegia sgraziata della giovinezza che s' incaglia nel cadavere, racconta il crollo e la carne, l'amore e la morte, l'amare fino alla morte.

 

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Il morto è Ramón Gómez de la Serna, superbo scrittore spagnolo che «con ostinazione infantile» cullò l'idea, bellissima e fatale, dello scrittore come «uomo al di là che non si sporca con la volgarità del mondo». Invece, il mondo è mera cloaca, becero anelare nel vento, e scrivere non salva nessuno, il poeta è cronachista del piscio, geologo tra ziggurat di merda; la letteratura, infine, resta «il più mediocre degli impegni con la storia».

 

FRANCISCO UMBRAL 3 FRANCISCO UMBRAL 3

Francisco Umbral - nome che nasconde un francescanesimo di ombre - è stato, semplicemente, il più audace stilista della lingua spagnola recente, un poligrafo, un provocatore, un generoso bastardo. Della sua prosa da carmelitano della lussuria, viscerale, voluttuosamente scabra e selvatica - «mi hanno sempre annoiato i classici di qualunque epoca e di tutte le culture», scrive lui, che a Cervantes, «a volte enfatico, retorico e pesante», preferiva Nietzsche,

 

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«pensatore distruttivo e spaventosamente lucido»-, in Italia, per atavica disattenzione, c'è quasi nulla, il libro dedicato al figlio morto, Rosa e mortale (edito da Jaca Book nel 1997), estratto da un'opera muscolare, esorbitante, che svaria tra romanzo, saggio al vetriolo, biografia (quelle dedicate a Lord Byron e al poeta maldito García Lorca, ad esempio), reiterate raccolte di articoli.

 

DAVIDE BRULLO DAVIDE BRULLO

Amava Carlo Emilio Gadda, era apprezzato da Jorge Luis Borges e genericamente odiato da quasi tutti gli intellettuali spagnoli che, scrisse alcuni anni fa, su El País, «continuano ad aggrapparsi al mantello del principe, che oggi è il politico. Per questo non vado più alle riunioni degli intellettuali: sono isterici, hanno perso ogni potere sulla storia, ogni legame con la società».

 

FRANCISCO UMBRAL 22 FRANCISCO UMBRAL 22

Di recente, gli è stato dedicato un documentario, Anatomía de un Dandy: fa il giro dei festival del cinema, fa il verso a un libro che Umbral, morto nel 2007, ha dedicato a Mariano José de Larra, esagitato, straordinario poeta spagnolo vissuto nel XIX secolo. I titoli dei suoi libri sono sornioni e guerreschi - Las ninfas; Los alucinados; Spleen de Madrid; Mis queridos monstruos; Capital del dolor; Diario de un snob -; più che un dandy, Umbral è stato un uomo solo nell'arena, un elegante eversivo, un dionisiaco disperato, uno che limava il verbo per uccidersi.

 

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La notte che arrivai al Café Gijón (pubblicato nel 1977, tradotto per le Edizioni Settecolori da Giuliana Calabrese, pagg. 300, euro 26; con una prefazione di Carlos D'Ercole) è, semplicemente, un grande libro: comincia con un'ammissione - «tutti andavamo al Café Gijón per sentirci qualcuno» - finisce con un cadavere, cioè con la fine della spensieratezza e delle speranze «Con Ramón moriva il mio sogno arcadico» -; racconta, soprattutto, l'epoca in cui era bello vanificare una vita inseguendo un bel verso, una sferica bugia che avrebbe fatto "notizia", una donna dal viso esotico e dal profumo inesorabile.

 

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Rigurgita di donne, in effetti, questo libro, di muse passeggere, a volte sadiche, spesso superbe, perché la protervia della carne dilaga in sordide nostalgie: c'è Sandra, «asturiana di Buenos Aires, anima femminea e vivace della notte, diavolo dalle unghie laccate», c'è Holanda, «la ninfa americana» dalla «pelle chiara e opaca», e uno sciame di modelle, «liriche gru, fenicotteri femmina, dalle gambe sottili e con le gambe fragili, dagli occhi misteriosi e il collo musicale». Ah, «le donne del Gijón», dalla «consistenza sfocata e transeunte», che «arrivavano, passavano, davano soldi o li chiedevano, facevano l'amore e poi sparivano».

UMBRAL COVER UMBRAL COVER

 

È un grande libro, questo, pie no di iniziazioni, di illazioni e di agnizioni, pieno di alienati, di poeti, di fallimenti e di falliti. Dire che la letteratura del secolo scorso si è fatta in una manciata di café- il Giubbe Rosse a Firenze, il Café de Flore a Parigi, il Tortoni a Buenos Aires... - è perfino un cliché: oggi si fa, piuttosto, leccando il didietro di un editor e sperando nell'invito in tivù («Toda la televisión es putrefacta», diceva, a proposito, don Francisco).

 

Umbral ha raccontato, del Gijón di Madrid, il fiore, l'arcano, la verità e la vanità. Fino a trarne una morale, di saturo stoicismo: «Sembra che imparare a vivere... debba essere fatto di grandi scoperte e profonde ed elaborate verità. E invece no. Pare proprio di no. Sembra proprio che imparare a vivere voglia dire apprendere piccoli dettagli, cose di poco conto. Dare, una dopo l'altra, pennellate rapide e precise all'immagine di noi stessi».

che guevara che guevara

 

Umbral è stato un giornalista dal talento inesorabile, uno scostumato censore dei costumi. Le cronache mondane pubblicate su El País - reperibili nell'archivio digitale del quotidiano spagnolo - sono spesso miliari: il «Ché», per dire, «era un Byron col berretto da guerrigliero, ha immesso nel clima biondo della nostra giovinezza una galassia di ferocia. Ha vissuto sulle pareti delle stanze adolescenti insieme a una riproduzione del Guernica di Picasso e all'icona di Alice, quella dei Lewis Carrol, il prete» (17 ottobre 1987); Picasso «è stato per quasi un secolo la novità assoluta perché ha rappresentato la tradizione assoluta...

PEDRO ALMODOVAR A VENEZIA PEDRO ALMODOVAR A VENEZIA

 

Ha genialmente plagiato l'arte di tutti i tempi» (25 ottobre 1986); di fronte a una confessione di Pedro Almodóvar, «Non mi sento desiderato, ed è terribile», Umbral reagì con candore al vetriolo: «Ora è finita, suppongo. Almodóvar ha avuto successo con un cinema segretamente terzomondista, che sublima il terzomondismo... tutti a Madrid si sentono riassunti e assunti da Almodóvar, e sono felici» (27 febbraio 1988).

 

Soggiogati dall'immaginario americano, in estro per Joan Didion, celebriamo i fasti del New Journalism e di quello Gonzo, ci galvanizza il gergo di Truman Capote, la mise di Tom Wolfe: Francisco Umbral, barocco, sgargiante, osceno e aggressivo, non è da meno, è l'antidoto europeo alla missilistica melassa statunitense. In una fotografia scattata parecchi anni fa, Umbral è nudo, peloso, i consueti occhiali, capelli lunghi, fissa un teschio, che sorregge con la sinistra; una Olivetti, messa di sbieco, copre le vergogne. Quanto al resto, fu geniale e svergognato.

truman capote truman capote tom wolfe 2 tom wolfe 2

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